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Mi capita spesso di acquistare libri che leggerò molto tempo dopo. In alcuni casi me ne pento, perché meritavano di essere scoperti e segnalati immediatamente. É proprio quello che mi è successo con ‘Il tuffo’ di Jonathan Lee, pubblicato in Italia da Sur nel 2017, nella bellissima traduzione di Sara Reggiani. Il libro si basa su un fatto storico, l’attentato dell’IRA al Congresso del Partito Conservatore britannico del 12 ottobre 1984: l’obiettivo era quello di uccidere Margaret Tatcher, ma le vittime furono 5 innocenti e decine di feriti, tra cui alcuni che riportarono danni permanenti.
Un romanzo che, come sa fare solo la grande narrativa, colma i vuoti del reale con l’immaginazione. Che può essere meno autentica, ma è certamente più vera. Un capolavoro, a cui forse non si è dato l’adeguato rilievo.
La trama in breve
Moose Finch, un passato da sportivo, è il vicedirettore del Grand Hotel di Brighton, scelto dal Partito Conservatore per svolgere il suo Congresso del 1984. Per Margaret Tatcher, impegnata nel confronto con i minatori, è uno snodo cruciale, e può esserlo anche per Moose, che aspira a una promozione, anche per garantire gli studi universitari alla figlia Freya. Lei è una ragazza che la madre ha lasciato con il padre e che affronta un’estate di passaggio che potrebbe portarla definitivamente alla vita adulta. Queste micro storie dovranno fare i conti però con la macro storia, il cui veicolo è Dan, giovane di Belfast, militante dell’IRA esperto di dinamite, di cui seguiamo l’iniziazione e l’educazione sentimentale alla violenza e alle sue conseguenze. Ma anche quella di Dan è una micro storia, perché ‘Il tuffo’ è proprio questo: la storia di come la normalità del quotidiano possa essere spazzata via in un attimo dai conflitti collettivi che ci prescindono e ci coinvolgono.
Tre buoni… personaggi per leggerlo:
‘Il tuffo’ di Jonathan Lee intreccia le vicende di tre personaggi in modo magistrale, e su ognuno di loro possiamo fondare un ottimo motivo per leggere questo romanzo.
1Dan. Dovrebbe essere il cattivo, colui che semina morte e distruzione per un’ideologia, senza guardare a chi è davvero colpevole della violenza che i cattolici dell’Irlanda del Nord sono costretti a subire. Ma Dan è, appunto, anche una delle tante vittime della perversa logica della realtà in cui vive. Jonathan Lee non assolve mai il suo personaggio, ma attraverso di lui ci dice che qualunque condizione umana non è mai a una sola dimensione. E il finale che gli riserva è di quelli che struggono
2Freya. Raramente ho trovato un personaggio femminile così ben immaginato e raccontato. Freya porta con sé lo spleen dell’adolescenza al suo termine e la fragilità della prima generazione a cui gli adulti (a partire dai politici) hanno detto che avrebbero comunque dovuto arrangiarsi da soli. Freya, inoltre, porta su di sé l’impronta dell’estate, una stagione dove gli inizi e le fini spesso coincidono, soprattutto quando tu devi rimanere sul mare d’inverno, mentre i turisti tornano nelle loro grandi città. O dopo che esplode una bomba proprio al centro del tuo futuro.
3Moose. Un uomo che porta su di sé le conseguenze di una società che ti carica di aspettative, di responsabilità e di ambizioni di successo e poi ti relega nella mediocrità dei vinti appena inciampi, appena sbagli tuffo. Un uomo che è abbandonato dalla moglie, non riesce a ricostruirsi una vita sentimentale e che dedica tutto sé stesso alla figlia e all’albergo in cui lavora. Moose che ha un infarto per il troppo fumo e che troverà la sua ragione d’essere sotto le macerie di una bomba. Il 1984 dell’Inghilterra e dell’affermazione realismo capitalista può essere raccontato con le tinte fosche e allucinatorie di David Peace in ‘GB84’ o con lo sguardo mai dolente e sempre empatico di Jonathan Lee, che con ‘Il tuffo’ riesce a restituirci lo spirito di un’epoca e il senso di una frattura che ancora ci attraversa.