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Sin dall’essenziale progetto grafico di Patrizio Marini e Agnese Pagliarini, la collana ‘Introvabili’ di Minimum Fax giunta al quarto volume, si candida ad essere ciò che ‘I gettoni’ di Einaudi sono stati per molti decenni: una collana di riferimento in cui la selezione dei curatori di testi fuori catalogo od ormai introvabili in libreria, insegue la buona letteratura e la buona scrittura a prescindere dai generi, dal periodo temprale, dalla nazionalità. Una collana fatta da chi ama la lettura per i lettori e le lettrici, che con “Due vivi e un morto” del norvegese Sigud Christiansen, scritto nel 1931, Minimum Fax ci restituisce un classico di straordinaria attualità ottimamente tradotto da Jacopo Marini.
La trama in breve
Un ufficio postale norvegese subisce la rapina di due uomini armati. Dei tre cassieri presenti uno, Kvisthus, muore, un altro, Lydersen, viene lievemente ferito in un istintivo tentativo di resistenza, il terzo, Berger, consegna la cassa sotto la minaccia di una rivoltella.
Dei due vivi il ferito viene considerato un eroe, colui che ha scelto di non rischiare la sua vita viene prima sospettato di complicità con i rapinatori, poi emarginato socialmente per la sua viltà. La rapina cambia il corso della vita dei sue sopravvissuti: Berger, il più preparato, è costretto a vedere il mediocre Lydersen ottenere promozioni e riconoscimenti, mentre lui deve cambiare città, senza però rinunciare però alla ricerca di una riabilitazione, di qualcosa che risponda alla domanda se vale davvero la pena morire per un gesto eroico e 7000 corone.
Tre buoni motivi per leggerlo
“Due vivi e un morto”, è una lettura strabiliante, per almeno tre ottimi motivi.
1Il libro di Christiansen è un racconto filosofico molto influenzato dai maestri del genere, come Dostoevskij e Pirandello, ma con il ritmo un mistery e con un grandioso e sorprendente finale. Come nel teatro del grande drammaturgo norvegese Henrik Ibsen viene messa in scena la contraddizione del concetto borghese di eroismo: Lydersen è un eroe perché ha provato a salvare la cassa o perché ha compiuto un gesto di coraggio? E Berger ha sbagliato solo perché non ha difeso abbastanza la cassa? E chi decide se conta più la vita dell’onore? È significativo che l’unica persona sempre dalla parte di Berger è la moglie del morto, che continua a rimpiangere che Kvisthus non abbia fatto come l’amico, lasciando una vedova e un orfano. Questi dilemmi si sciolgono in dialoghi asciutti ed efficaci, che portano il lettore nel labirinto dei bivi morali.
2Oltre ai due vivi, un altro personaggio di grande forza e importanza è Rognaas, unico dei coinquilini di Lydersen a non considerarlo un eroe e che svolgerà un ruolo decisivo nella vita di Berger. Rognaas impersona il caos della realtà, unica forza che può mettere in discussione lo spietato ingranaggio sociale che riversa su Berger il disprezzo di capi, poliziotti e persino della moglie. Leggendo viene naturale pensare come sarebbe giudicato un caso come questo dalla platea dei social media, che costruiscono onore e disonore con feroce invadenza: perché alla fine noi siamo quelli che giudicano i vivi.
3La cosa che colpisce di più di Berger, vero protagonista della vicenda, è che non cerca mai la vendetta, né è interessato al giudizio degli altri: il suo unico obiettivo è che Lydersen ammetta di non aver fatto nulla di straordinario ma, anzi, qualcosa di così pericoloso da essere stupido. Berger vuole che Lydersen scenda, da solo, dal suo piedistallo morale, perché questo è l’unico modo per restituire a Berger la dignità. A Berger non interessa quello che gli altri pensano di lui, ma quello che Lydersen pensa di sé stesso. Perché l’unico che avrebbe diritto di parola è il morto, che non ha più alcuna voce. Berger fa una scelta davvero inattuale in un romanzo che potrebbe essere uscito ieri, ed è una componente essenziale del fascino che ancora riveste per noi.