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Il gioco d’azzardo ci circonda, è ovunque. Dissemina le nostre città di sale scommesse, è appeso con le mollette nei tabaccai con le schede dei gratta e vinci, si accende in milioni di pop up sul web, riluccica nella fantasia nostalgica dei Casino. Anche i giocatori ci circondano: sono i nostri colleghi di lavoro, i nostri genitori, i nostri figli, i nostri amici. Ma facciamo finta che non abbiano niente a che fare con noi, a meno che non siamo noi, il giocatore. Il memoir di Alessandra Mureddu “Azzardo” (Einaudi, 2023) non è soltanto il racconto di un personale viaggio all’inferno ma è uno squarcio su qualcosa che può coinvolgere ognuno di noi, esattamente come l’eroina negli anni ’80. Una patologia collettiva che anche se colpisce gli individui e i loro affetti è indotta da strutture sociali profonde e pervasive.
“Azzardo” fa stare male perché non risparmia nulla al lettore di quella che è la vita di un giocatore compulsivo: l’abiezione morale che porta a rubare i soldi dei colleghi o a portare al compro oro la catenina della prima Comunione e gli anelli della mamma e della nonna; il degrado fisico che colpisce i giocatori dall’ingrassamento al tunnel carpale causato dalle scariche elettriche delle slot; il circolo vizioso degli incontri dei Giocatori Anonimi, della disintossicazione e delle ricadute; la trappola delle relazioni tossiche con altri giocatori che creano ulteriori forme di dipendenza. Vorresti chiudere le pagine con la certezza di un lieto fine, di una speranza. Ma non sarebbe un buon motivo per leggere “Azzardo”, a differenza di quelli che seguono.
1“Quando entro a cercare i libri d’oro so che la battaglia per salvare mio padre è finita. Quello che invece non so è che per salvare me stessa dovrò aspettare nove anni”. Come può la figlia di un giocatore, che vede quello che succede a suo padre, diventare una giocatrice? Per molti motivi e tra questi c’è che il padre cerca la complicità della figlia, la vuole partecipe del suo mondo. Il capitolo dedicato alle vacanze nell’hotel Casino di Kranjska Gora dove padre e figlia giocano e perdono mentre la madre aspetta in una stanza è uno di quelli più spiazzanti perché è un’educazione sentimentale al contrario, che ti svuota osservando un vuoto.
2La scrittura della Mureddu riproduce la frenesia del gioco, dove a volte i piani temporali si sfasano e si mischiano, proprio come nelle sale scommesse dove non si sa se è fuori è giorno o notte, se piove o c’è il sole. Le cose accadono in modo incalzante e la narrazione è composta di frame testuali brevi e lancinanti. “Azzardo” è un libro breve, che si legge tutto d’un fiato, ma è allo stesso tempo densissimo. Non c’è niente di superfluo e niente che non sia la verità, nient’altro che la nuda verità.
3La nostra è una società fondata sull’azzardo e sulla dipendenza. Si chiama gamification o ludicizzazione, ed è diverso dalla ludopatia. Siamo immersi in un’economia ludicizzata. La dipendenza dai social, dai giochi online non d’azzardo, dal web (che è la prima patologia di cui soffre la protagonista) sono il frutto di imprese che vogliono la nostra attenzione. E usano delle strategie per averla, così come le aziende del tabacco usavano la nicotina. È un fenomeno ben descritto nel saggio di Wu Ming 1 “La Q di complotto” e che Mureddu scoperchia nei suoi effetti, soprattutto descrivendo la compulsività del trader online Piero. Perchè è la finanza, che già Keynes chiamava il Casino dei ricchi, il modello di tutto questo azzardo. Se l’ebrezza della velocità dell’automobile è stato il sogno tossico del secondo ‘900, i grafici di borsa lo sono del XXI: il secolo dell’azzardo.