Tre buoni motivi per leggere “Capannone N. 8” di Deb Olin Unferth

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5 out of 5 stars (5 / 5)

I grandi maestri del postmoderno hanno la loro erede: Deb Olin Unferth


Ormai non dovrebbe più essere una sorpresa, ma la casa editrice Sur non smette di regalare alle lettrici e ai lettori italiani perle inestimabili di letteratura nord e sud americana. Con l’ottima traduzione di Silvia Manzio, “Capannone N. 8” (Sur, 2021) fa scoprire al pubblico di casa nostra Deb Olin Unferth, scrittrice di indubbio talento. Questo romanzo folle, ironico e allo stesso tempo impegnato rassicura gli appassionati di letteratura statunitense sulle condizioni di salute della narrativa d’oltreoceano. Averne, di autrici come la Unferth!

La trama, in breve: Janey è la tipica ragazza newyorkese, colta cosmopolita e felice figlia di madre single. Quando scopre chi è suo padre decide di andare a conoscerlo, ritrovandosi prima catapultata e poi intrappolata (no spoiler, ma questo è un romanzo con colpi di scena prima di pagina 50) nell’Iowa rurale. Qui diventa ispettrice di allevamenti intensivi di galline ovaiole, con mentore la precisa Cleveland. Le due, insieme, liberano tutte le loro contraddizioni personali e sociali progettando un’impresa eclatante: liberare novecentomila galline in una sola notte. Per farlo formano un improbabile team con Annabelle e Dill, due militanti animalisti, e una serie di altri personaggi borderline. Riusciranno nella loro impresa?

Ecco tre ottimi motivi per leggere “Capannone N. 8”:

1Una trama ricca di colpi di scena, grazie anche a una gestione dei tempi e dei piani narrativi tanto abile quanto gradevole. Ogni volta che anticipa un evento la Unfert non solo non toglie suspence ma la crea. Ad ogni pagina l’autrice sembra ingaggiare chi legge incitandolo ad andare avanti dicendogli “dai, vieni a vedere cosa mi sono inventata questa volta”. È grazie a questo ritmo incalzante che apprezziamo i messaggi seri che il romanzo vuole veicolare, tutti riconducibili ad uno: se c’è una specie che a rischio di autoestinzione è quella umana, ma forse non sarebbe capace nemmeno di estinguersi, per manifeste incapacità. E se ci riuscisse, sarebbe per sbaglio.

2Dei personaggi sempre all’altezza della situazione narrativa, ma del tutto disfunzionali e disadeguati alla realtà in cui vivono. Quindi del tutto realistici. Antagonisti ambientalisti complessati e pasticcioni, rampolli di grandi allevatori riluttanti a proseguire le rurali carriere dei genitori, memorabili coprotagonisti involontari che passavano di lì per caso e, ovviamente le galline. Scopriremo su questi volatili tutto ciò che volevamo sapere ma non avevamo mai pensato che avremmo chiesto. Tutti loro sono alla ricerca di quello che cerchiamo tutti: una traiettoria, un senso, una svolta, la pace. Molti la troveranno, ma nei modi e nei posti più inaspettati. Una menzione speciale va alla figura di Jonathan Jarman Junior, coinvolto per amore in una delle imprese più folli della letteratura contemporanea.

3Per chi pensava che non avremmo più avuto qualcuno all’altezza di Donald Barthelme, ora sa che c’è. Per chi temeva e teme che Thomas Pynchon non avrà eredi, c’è speranza (con il dovuto rispetto al Maestro invisibile della letteratura USA). Ad un certo punto di “Capannone N. 8” l’autrice costruisce un intero capitolo come una citazione/omaggio de “I Cento fratelli” di Donald Antrim, sollevandoti da terra dal divertimento e dalla meraviglia. Deb Olin Unferth è una grande scrittrice del XXI Secolo. Americana.

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