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Ho letto qualche anno fa “Ferite a morte” di Serena Dandini, edito da Rizzoli nel 2013. E beh, se mi chiedessero quale libro far leggere a scuola per affrontare l’argomento delicatissimo dei femminicidi e della violenza di genere, penso che indicherei proprio questo, una raccolta di racconti che è nata – prima ancora di essere un libro – come progetto teatrale.
Ecco tre buoni motivi per leggerlo:
1 La Dandini riesce a trattare l’argomento a modo suo, con quella freschezza che le è propria: ovvero parla di femminicidio in maniera non pesante ma profonda, non grottesca ma ironica. È un libro che si legge facilmente, sì, adatto anche ai ragazzi, ma che lascia il segno. E poi, finalmente qualcuno che lo dice: «Lo so, molti commentatori storcono il naso davanti al termine “femminicidio”, certo se ne possono trovare altri più aggraziati o pertinenti. Chiamiamolo pure come ci pare ma almeno affrontiamo il dramma per quello che è, senza far finta che non esista». Che qui, a furia di perderci nel dibattito sull’opportunità di utilizzare la parola “femminicidio”, stiamo perdendo di vista il punto principale.
2 È chiaramente ispirato a quel capolavoro che è l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master: a prendere la parola, con i loro modi di esprimersi a volte anche buffi, i loro dialetti, i loro caratteri, la loro energia vitale e le loro esperienze diverse, sono direttamente le donne uccise.
3 La prima parte del libro è dedicata alle storie delle donne che la Dandini ha immaginato (basandosi decine e decine di vicende reali), mentre la seconda – anche se ormai è datata – contiene una serie di schede che mostrano numeri e statistiche, per ricostruire le radici della violenza sulle donne in Italia e nel mondo.