Tempo di lettura: 1 minuto
Si è spento all’età di 89 anni lo scrittore americano Cormac McCarthy. Solo il 2 maggio è uscito in Italia “Il passeggero” (Einaudi) il primo di due volumi. Il secondo, “Stella Maris“, sarà in libreria a settembre: rimarranno gli ultimi testi di un autore che ha ottenuto un riconoscimento di massa forse ardivo, ma da sempre oggetto di un vero e proprio culto.
Soprattutto “Meridiano di sangue” e la trilogia della frontiera – “Cavalli selvaggi”, “Oltre il confine” e “Città della pianura” hanno rappresentato per molti l’apogeo di uno scrittore capace di portare il genere western in una nuova dimensione prossima all’epica e alla tragedia classica.
Allo stesso tempo McCarthy è stato uno di quei rari autori che sono riusciti a costruire un’etica attraverso la propria scrittura. Lo si vedeva in “Figlio di Dio” (1974) e in modo altrettanto netto nelle sue due opere più famose: il post apocalittico “La strada” (Premio Pulitzer 2007 e da cui è stato tratto il film “The road”, di John Hillicoat e con Viggo Mortensen) e soprattutto “Non è un paese per vecchi”, portato sullo schermo dai Fratelli Cohen conquistando il Premio Oscar nel 2008 e ricordato anche per la straordinaria interpretazione di Javier Bardem.
McCarthy è stato uno scrittore non semplice e dalle atmosfere aride, desolate e lancinanti come i suoi deserti, ma soprattutto ha saputo esplorare con lucidità la violenza di cui è capace l’uomo, lasciando però sempre intravedere la possibilità di resistere al caos insediandosi in quei valori che definiamo civiltà. Valori sotto assedio, ma mai sopraffatti. Il suo stile è sempre stato al servizio della rappresentazione di questo conflitto: a volte scarno, ma come è scarno un fascio di nervi, ovvero in continua tensione.
Lascia un’impronta indelebile nei suoi lettori e un segno forte nella letteratura americana e mondiale a cavallo tra il XX e il XXI Secolo.