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La collana Bloom dell’editore Neri Pozza continua a proporre titoli di letteratura straniera molto interessanti, che esplorano territori magari poco conosciuti ma di grande qualità. È il caso della giovane ma già affermata scrittrice giapponese Hiroko Oyamada, di cui l’anno scorso venne pubblicato il magnifico “La fabbrica”, da noi molto apprezzato (qui la recensione). Abbiamo quindi approcciato con curiosità ed elevate aspettative “La buca”, un romanzo che si è aggiudicato in patria il prestigioso premio Akutagawa, restandone piacevolmente spiazzati.
La trama
La trama, in breve: la giovane Asa è sposata con Muneaki, che viene trasferito in una nuova sede della sua azienda, nella Prefettura dove lui è nato e dove vivono i loro genitori. Tamako, la madre di Muneaki, offrono alla coppia di traslocare in una casa di loro proprietà che si è appena liberata dagli affittuari. È un colpo di fortuna, perché Asa deve rinunciare al suo lavoro in città e non pagare l’affitto è un risparmio fondamentale.
Inizia così, per la ragazza, una nuova vita: senza lavoro e con i suoceri come vicini di casa. Proprio per fare una commissione per Tamako, Asa si ritrova nella campagna, vicino a un fiume, e qui, seguendo un misterioso animale, cade in una buca. Viene tirata fuori da una vicina di casa, e da quel momento incontrerà strani personaggi, in una dimensione incerta tra realtà e immaginazione. Asa è uscita davvero dalla buca o è sprofondata in un altro mondo? La casa in cui torna è la sua o è in una dimensione parallela? Questa è la “buca narrativa” in cui sprofondano i lettori, sino all’imprevedibile finale.
Tre buoni motivi per leggerlo
Come in molti romanzi giapponesi, in “La buca” le domande sono molte di più delle risposte e quindi i bivi narrativi molti di più dei tre che vi proponiamo.
1Quasi come un riflesso condizionato, spesso i romanzi giapponesi dove succedono cose strane, vengono paragonati a Kafka. In questo la mediazione di Akutagawa è stata decisiva e poi ci ha pensato Murakami. E proprio nell’ultimo romanzo di Murakami (“L’assasinio del commendatore”) c’è qualcuno che cade in una buca. Eppure il romanzo di Oyamada è diverso. Perché la buca è il sopra, non il sotto. L’autrice cita ironicamente “Alice nel paese delle Meraviglie” non per riconoscere un debito, ma per dirci che siamo in una situazione diversa. In “La buca” si avverte una sensazione di paura permanente che è data dalla normalità, non dalla sua infrazione. Solo che la normalità è strana. Il risultato è una lettura che ti prende e che ti fa sentire… strano.
2Non in modo esplicito come ne “La fabbrica”, questo è un romanzo sociale. Asa è una donna precaria, in un mondo maschile distante, che nel mondo strano in cui si finisce i personaggi sono ologrammi della precarietà e dell’incertezza. In particolare il presunto fratello del marito si dichiara un hikikomori, ma assomiglia di più a un fantasma. Come ne “La fabbrica” la natura è distante dall’uomo: qui è piena di cicale e di altri insetti e non è mai un rifugio ma sempre una specie di monito. In un certo senso è una natura hikikomori, in disparte dall’uomo. E solo una donna può accorgersene. O, meglio: le donne.
3La scrittura di Oyamada è semplice e modernissima, rendendo accessibile la stratificazione dei livelli di lettura. “La buca” inquieta senza nessun effetto orrorifico, fa sorridere senza alcuna sguaiatezza, fa riflettere senza alcuna retorica, sbalordisce senza effetti speciali. Oyamada scrive come un grande illusionista: sai che c’è il trucco, ma non lo vedi, e non puoi che abbandonarti a questo fascino. Insomma: non vediamo l’ora di leggere il prossimo.