Tre buoni motivi per leggere ‘Pechino pieghevole’ di Hao Jingfang

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Un sorprendente e acuto sguardo sul futuro

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Dovremmo essere veramente grati alla casa editrice torinese Add per aver fatto conoscere al pubblico Hao Jingfang, prima scrittrice a vincere – nel 2016 – il prestigioso premio Hugo per la letteratura di fantascienza, con il racconto ‘Pechino pieghevole’, che dà il titolo alla raccolta pubblicata in Italia nel 2020. La fantascienza sta vivendo in questi anni un nuovo rinascimento, raccogliendo le sfide dell’immaginazione dei futuri possibili, e i racconti di ‘Pechino pieghevole’  sono il frutto dell’immaginario e della scrittura di un’autrice semplicemente sbalorditiva.

La trama, in breve: la raccolta comprende 11 racconti brevi o brevissimi, riprendendo la tradizione della short novel come genere prediletto dalla fantascienza. In ‘Pechino pieghevole’ vediamo come una città può essere modificata per assegnare alle classi di persone giornate e notti di tempo diverso, nella mini trilogia ‘L’arpa tra cielo e terra’ ‘Al centro della prosperità’ e ‘Il teatro dell’Universo’ l’umanità deve fare i conti con un dominio alieno che sembra risparmiare solo gli artisti, le persone di cultura, gli scienziati e i ricercatori. Lo spazio è protagonista anche di ‘Cerere in volo’ e ‘L’ultimo eroe’. Negli altri quattro racconti il tema è quello del confine tra vite e morte e tra vita biologica e vita artificiale.  Una sfida difficilissima, che Hao Jigfang affronta senza alcuna vertigine.

Ci sono tre eoni di motivi per leggere questo libro, ecco i nostri.

1Come tutta la migliore fantascienza Hao Jungfang immagina il futuro sulla base di una presa d’atto dei movimenti del presente. Il cuore della sua scrittura sono le possibilità e i bivi del cambiamento. L’autrice è una ricercatrice ed è cinese: la sua dimensione è la frontiera più avanzata della contemporaneità e questo si riversa in storie che si confrontano con l’obsolescenza del lavoro, l’insostenibilità del pianeta, la contraddizione tra aspirazioni individuali e dimensione sociale. Soprattutto i tre racconti che pongono al centro il rovello di artisti e scienziati – a fronte di alieni che li eleggono a intermediari del loro dominio – aprono uno squarcio originale e inedito su quella che chiamiamo società della conoscenza e dell’informazione.

2Pur affrontando questioni scientifiche e tecnologiche, la scrittura è sempre semplice, piana, a volta al limite di un’apparente ingenuità. Del resto era un tratto comune a maestri come Stanislaw Lem. Donne e uomini di fronte a fatti che li prescindono o sembrano più grandi di loro sono personaggi che parlano al nostro quotidiano e ci interrogano, con delicatezza e, spesso, ottimismo. Pur essendo critica del contemporaneo, l’autrice ci indica sempre una speranza: la figura del bibliotecario spaziale e dei coloni intergalattici di ‘Cerere in volo’ sono ossigeno per le nostre claustrofobie.

3‘La clinica di montagna’ è, semplicemente, il miglior racconto che abbia letto negli ultimi dieci anni. È la storia di un uomo di talento schiacciato dalle responsabilità (un matrimonio combinato, la competizione in università, i debiti per una casa più grande) che fugge e si ritrova in un luogo dove vengono accolti gli sconfitti di questa alienazione. Ma è in questi sconfitti, trattati con l’intelligenza artificiale, che i vincenti e i sopravviventi possono ritrovare se stessi. La fantascienza usa l’alterità più radicale per costringerci a dirci la verità su noi stessi. Hao Jingfang fa di questo un’arte sopraffina, spiazzante, commovente.

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