Quando il nemico è lo scrittore: “Gli uffici competenti” di Iegor Gran

SUL LIBRO

Una nuova possibilità alla letteratura russa con un romanzo deliziosamente e dolorosamente folle

Tempo di lettura: 2 minuti

Paolo Nori, ne il suo “I russi sono matti”, sostiene che ad un certo punto la letteratura russa si è, semplicemente, spenta. Straordinaria nell’800 e nei primi del ‘900 durante lo zarismo, tumultuosa e magnifica durante i primi anni della Rivoluzione, fertile nonostante le condizioni nel dopoguerra, si sarebbe infine dissolta tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90. Iegor Gran con il suo “Gli uffici competenti” (Einaudi, 2022), scrivendo la storia vera di suo padre – Andrej Sinjavskij, condannato al Gulag per i suoi libri clandestini e poi esule in Francia – dà una nuova possibilità alla letteratura russa con un romanzo deliziosamente e dolorosamente folle.

La trama, in breve

È il 1959, il leader dell’Urss è Nikita Chruščëv, e in Francia esce un testo di critica letteraria che stronca il realismo socialista. L’autore si cela sotto lo pseudonimo di Abram Terc e il compito di scoprire la sua vera identità è affidata al Tenente del KGB Ivanov, che agli Uffici Competenti si occupa di intellettuali, romanzieri, film, pittori. La caccia dura sei anni, e quando Terc, che intanto ha pubblicato all’estero diverse opere irriverenti, viene smascherato, Chruščëv è stato sostituito da Brežnev.

In quegli anni Ivanov, la sua squadra e i suoi informatori hanno dovuto affrontare questioni molto spinose: il successo e i funerali di Pasternak; una grande esposizione americana; la proiezione di 8½; una mostra di Picasso; un’esplosione di gas nelle repubbliche dell’Asia. Sono gli anni del disgelo e della destalinizzazione, ma il libero pensiero non è gradito, e si può finire nel Gulag o condannati a morte se si fa o si scrive la cosa sbagliata. In questa sfida tra Terc e gli Uffici Competenti c’è in gioco qualcosa di molto importante: l’onore dell’URSS, la vita di un uomo, la dignità di una generazione.

Tre buoni motivi per leggerlo

“Gli Uffici Competenti” affronta un’epoca storica da un punto di vista apparentemente marginale, ma ci sono tre buoni motivi che lo rendono un romanzo di grande valore e di grande impatto.

1Innanzitutto il punto di vista interno al romanzo. Che non è quello del braccato Abram Terc, padre dell’autore del romanzo (e che nasce proprio nell’anno in cui verrà scoperto e arrestato), ma quello del Tenente Ivanov. Un personaggio che rappresenta in modo efficace e preciso l’uomo sovietico allineato, l’agente del KGB irreprensibile e stralunato. Ivanov è uno Jalabert che insegue il suo Jean Valjean spinto dalla fiducia nel Partito e da una sorta di routine della repressione dei dettagli che non è possibile liquidare come “banalità del male”. Attraverso Ivanov, Iegor dà forma e voce a quel misto di fanatismo, mitomania,  ingenuità e surrealismo che fu l’URSS tra gli anni ’50 e ’60: una distopia costruita sulla fiducia in un’utopia, quando Gagarin camminava nello spazio e i jeans e il jazz erano proibiti.

2“Gli Uffici Competenti” è una commedia. Dove le sofferenze sono reali, ma sono raccontate in modo stralunato, attraverso vicende storiche paradossali. In questo Iegor si rifà soprattutto a Gogol’, rappresentandoci una galleria di personaggi meravigliosi anche quando abietti, su cui spicca il delatore di artisti Monocolo. L’ironia dell’autore è poi sferzante e allo stesso tempo misurata quando narra episodi grandi e piccoli ma comunque molto significativi: i funerali di Thorez e Togliatti, a cui va intitolata una città o lo “sfratto” della mummia di Stalin dal suo mausoleo per non turbare Lenin, l’arte di arrangiarsi delle guide turistiche. Un mondo dove tutto era precario e incerto, dove tutto poteva cambiare dal giorno alla notte e che i testi clandestini di Abram Terc sbeffeggiavano con lo spietato sorriso della verità, che Iegor recupera e aggiorna.

3C’è una cosa che colpisce in questo romanzo, proprio come succede in alcune opere del grande Sergej Dovlatov (autore, tra gli altri, de “Il libro invisibile” e “Il giornale invisibile”): la serietà con cui veniva vissuta l’arte nella società sovietica. Artisti e intellettuali venivano spiati, censurati, controllati e puniti perché venivano considerati un pericolo reale. La cultura no era importante, era fondamentale. Il Tenente Ivanov, per indagare sui suoi obiettivi, deve essere “competente”: sa le lingue, legge testi complessi, indaga nello stile per trovare la sovversione. Era un mondo in cui “le parole erano importanti”. E pesavano come pietre. Un mondo per cui Iegor non prova alcuna nostalgia, ovviamente, ma che restituisce con onestà, senza nascondere il fuoco che il totalitarismo provava a spegnere, dopo che la rivoluzione lo aveva acceso.

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