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Se in queste serate avete visto anche voi sulla Rai la serie tv “Il conte di Montecristo” per la regia di Billie August, tratta dal capolavoro ottocentesco di Alexandre Dumas, c’è una curiosità per voi: sì, perché l’autore francese per il suo Edmond Dantès si sarebbe ispirato a una figura realmente esistita, quella di tale Pierre Picaud.
Ma andiamo per ordine.
“Il conte di Montecristo”: di cosa parla e perché è così lungo
“Il conte di Montecristo” di Alexandre Dumas (che tra l’altro in questi giorni si può leggere gratuitamente sul Kindle con Prime Reading, se avete Amazon Prime) parla della vendetta di Edmond Dantès, prima sfortunata vittima e poi spietato giustiziere.
Sbarcato a Marsiglia con la nave mercantile di cui sta per essere nominato capitano, il giovane Dantès vuole sposarsi con l’amata Mercedes ma, nel mezzo della sua festa di fidanzamento, viene arrestato con la falsa accusa di bonapartismo. Dietro il suo arresto c’è l’invidia di due uomini per la sua felicità e il suo successo, e la corruzione di un terzo. Durante la prigionia, in una fortezza in mezzo al mare, cresce in lui un risentimento feroce per i suoi aguzzini e dopo 15 anni finalmente riesce a liberarsi e a riscattare una grande fortuna nascosta sull’isola di Montecristo grazie alle indicazioni dell’abate Faria, altro detenuto. Tornerà nei panni del fantomatico “conte di Montecristo”, nessuno lo riconoscerà e lui metterà in atto una vendetta senza pari. Ma dovrà fare anche i conti con i sentimenti negativi della vendetta che rischieranno di divorarlo e di disumanizzarlo sempre più.
Il libro, non vi sarà sfuggito se lo avete adocchiato in libreria, è molto lungo, supera le mille pagine e c’è un motivo. Il romanzo è stato pubblicato a puntate in un periodo temporale di ben due anni (tra il 1844 e il 1846) sul “Journal des Débats”: iniziò ad avere grande successo mentre Dumas lo stava ancora scrivendo con l’aiuto del ghost-writer Auguste Maquet, e inizialmente nemmeno lui sapeva come lo avrebbe concluso. Insomma, il romanzo a puntate era un antenato delle “serie tv” di oggi e “Il conte di Montecristo” è durato ben due anni: anche per questo il geniale autore ha dovuto inventarsi numerosi colpi di scena e rendere lo scritto molto avvincente per farlo durare così a lungo senza perdere lettori.
Storia di Pierre Picaud: il vero conte di Montecristo?
Sembra che Dumas, per scrivere il romanzo, si sia ispirato a una figura veramente esistita, quella di Pierre (o François) Picaud.
Secondo alcune fonti nel 1807 Picaud, calzolaio, stava per sposarsi con una ricca donna, Marguerite Vigoroux, ma tre amici gelosi — Loupian, Solari e Chaubart — lo accusarono falsamente di essere una spia al soldo dell’Inghilterra. Un quarto amico, Allut, a conoscenza della cospirazione, non ne fece parola.
Informato della soffiata, il duca di Rovigo non esitò a far arrestare Picaud il giorno delle sue nozze e lo fece trasferire in gran segreto nel forte di Fenestrelle, dove Picaud rimase per sette anni senza saperne il motivo. Durante la sua prigionia Picaud riuscì a scavare uno stretto passaggio fino a una cella vicina e fece conoscenza con un altro prigioniero, un prete italiano, certo padre Torri (nel romanzo, l’abate Faria).
Un anno dopo Torri, in punto di morte, lasciò in eredità a Picaud il tesoro che aveva nascosto a Milano. Quando Picaud fu rilasciato a seguito della caduta del governo di Napoleone Bonaparte nel 1814, s’impossessò del tesoro, tornò in Francia con la falsa identità di Joseph Lucher e trascorse dieci anni tramando la sua vendetta contro i suoi amici di un tempo.