Derive e burnout del precariato: “La lavoratrice” di Elvira Navarro

Tempo di lettura: 2 minuti

“La lavoratrice” della spagnola Elvira Navarro (2019, nell’efficace traduzione di Sara Papini)  l’ho trovato a un Book Pride di Milano, allo stand della coraggiosa casa editrice indipendente LiberAria. Mi aveva colpito per il titolo per le tematiche che si propone di affrontare – il precariato – ma, come spesso accade con i libri acquistati alle fiere, ho aspettato prima di leggerlo. Troppo: perché è un romanzo che merita di essere assunto in dose massiccia, senza indugi, tutto di un fiato. Un romanzo che svela un’autrice che meriterà di abitare con altri volumi la mia libreria.

La trama, in breve

Elvira lavora come collaboratrice in un grande gruppo editoriale. Viene pagata in modo discontinuo e male e per questo è costretta a subaffittare una stanza del suo appartamento nella periferia di Madrid. Un suo caro amico le presenta Susana, che lavora in un call center e si dedica a realizzare opere d’arte postmoderne con ritagli delle riviste. Il passato di Susana diventa un’ossessione per Elvira, che finalmente riesce a conoscere e ad annotare la sua storia di vita borderline. Ma nel frattempo è proprio lei che deraglia e sprofonda in un burnout che la porta a camminare di notte per Madrid, alla ricerca di un baricentro della sua vita che sembra ormai inafferrabile. Forse la salverà la terapia, forse scrivere è la terapia.

“La lavoratrice” è un libro ipnotico, dove qualcosa può perdersi nel vortice dello stile, ma dove si trovano almeno tre ottimi motivi per leggerlo.

1. Una scrittura che restituisce i drammi della precarietà

Lo stile di Elvira Navarro non è semplice ed ha ambizioni sperimentali. Ma il dosaggio di flusso di coscienza e trascrizione delle storie dei personaggi da parte della voce narrante è perfettamente funzionale a restituire cosa fa il lavoro precario a una persona: la scompone, la destabilizza, le toglie il sonno. Soprattutto la costringe a scegliere tra la capacità di concentrarsi per dedicarsi interamente al lavoro e la resa totale, il ritiro dalla vita sociale, la medicalizzazione psichiatrica. Il ritmo de ‘La lavoratrice’ è il ritmo di molti di noi: per questo ci si ritrova e il disturbo che possiamo avvertire è un segnale d’allarme. Lo stile della Navarro è lo stile della vita quotidiana.

2. La bulimia del desiderio

Le due protagoniste sono molto diverse, sono costrette alla convivenza dalle circostanze e non si piacciono. Sono due solitudini inconciliabili ma unite dallo stesso scacco del desiderio. Susana cerca incontri, con uomini e donne, e quando trova un’ipotesi di amore le manca la compulsività della ricerca dell’emozione. Elvira vaga per Madrid di notte alla ricerca di una mappa di sé stessa, trovando solo paesaggi crepuscolari e indefinibili. Due donne costrette a divorare tutto, senza riuscire a trattenere nulla. Ma non rinunciano a cercare una strettoia di luce e questo ce le fa amare, incondizionatamente.

 3. Squarci narrativi abbacinanti

All’interno della vicenda principale, l’autrice inserisce delle storie “collaterali”, quasi delle micronarrazioni a sé stanti, e due in particolare valgono da sole la lettura de “La lavoratrice”: quella raccontata dalla capa di Elvira, Carmentxu, e quella sul corso a cui si iscrive Elvira per imparare “i fondamenti per gestire il tempo in modo imprenditoriale”. Oltre ad essere emozionanti, centrano il punto: la distruzione della solidarietà umana a favore della concorrenza esasperata è uno degli obiettivi del sistema di produzione contemporaneo e svelare questa verità è il merito inestimabile di questo romanzo.

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