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Il 20 settembre è uscito in Italia “Donnole in soffitta” di Hiroko Oyamada (nell’ottima traduzione di Gianluca Coci), terzo libro della scrittrice giapponese pubblicato da Neri Pozza, dopo “La buca” e “La fabbrica”, sempre per la collana “Bloom”. Amo moltissimo la scrittura di Oyamada e quindi ho letto subito questo libro, trovandolo ancora più spiazzante dei precedenti ma, ancora una volta, deliziosamente spiazzante.
La trama, in breve
il libro è composto da tre episodi, che raccontano tre cene tra amici e inizia con la notizia di un funerale. Saiki, amico della voce narrante (un uomo sposato che non riesce ad avere figli e che resta sempre anonima), chiama per dire che è morto Urabe, di cui erano stati ospiti a cena poco tempo prima. In quell’occasione Urabe aveva presentato la sua compagna e la sua figlia neonata, intrattenuto gli ospiti mostrando i suoi acquari di pesci tropicali e raccontato uno stranissimo episodio avvenuto nel suo negozio. La morte di Urabe è avvolta nel mistero.
Nel secondo episodio Saiki si è sposato con Yōko e trasferito in un piccolo paese in montagna dove invita l’amico e sua moglie. Sarà l’occasione per parlare del problema che affligge la coppia nella nuova casa: una soffitta infestata di donnole.
La terza cena si svolge sempre nella casa in montagna, dove i due amici sono andati per vedere la nuova figlia di Saiki e Yōko di rimangono bloccati da una bufera di neve. Nella notte il protagonista e sua moglie dormiranno in una stanza piena degli acquari si Saiki e lui farà uno strano sogno, prima di una svolta inaspettata nella sua vita. Tre episodi quasi banali ma costellati da strani episodi, rivelazioni e, soprattutto, trasformazioni.
“Donnole in soffitta” è un libro onirico che si basa su una scrittura eccezionale capace di attirare il lettore in tre stanze dei misteri, una per ogni episodio e una per ognuno dei nostri tre buoni motivi per leggerlo.
1. Un ipnotico teatro dei misteri
Le tre scene che compongono il libro (pubblicate separatamente in Giappone tra il 2013 e il 2014) sembrano atti teatrali. Tutto accade attraverso i dialoghi di amici seduti intorno a una tavola dove l’atmosfera è calma ma attraversata da una sottile inquietudine che avvolge i personaggi. Difficile, leggendo, non pensare a un maestro della suspense del quotidiano come Harold Pinter, che davvero la scrittura di Oyamada ricorda molto. Ma se in Pinter il mistero è sempre razionale, “Donnole in soffitta” è popolato da strane figure sospese tra reale e immaginario. La storia raccontata da Urabe in “Lutto in famiglia” di una bambina in mutande sorpresa a rubare il mangime esiccato per i pesci mentre lui offre ai suoi ospiti quella stessa pietanza, è pura ipnosi narrativa che inchioda alla pagina.
2. Le inquietudini sospese del Giappone
Come “La fabbrica”, questo è un romanzo di metamorfosi. Metamorfosi sottili, talora al limite del visibile, che Hiroko Oyamada utilizza per imprimere continue svolte alla sua narrazione. “Donnole in soffitta” è un libro in cui le vicende prendono spesso strade inaspettate, come spesso accade nella letteratura giapponese. Quasi nulla, in questo romanzo è definito e quasi tutto rimane aperto alle interpretazioni e i dubbi di chi legge. In questo modo una delle questioni nodali della società giapponese, la fertilità in un paese che invecchia facendo pochi figli, viene scossa da apparizioni fantasmatiche che mettono in discussione ogni certezza. Perché, forse, sono proprio le certezze e le convenzioni le cose di cui Oyamada vuole che ci liberiamo, come nel racconto conclusivo “Una notte da Yukiko”.
3. L’inattesa energia del femminile
Tutte le vicende ruotano intorno al racconto centrale “Fino all’ultima donnola”, che è un vero e proprio capolavoro di arte narrativa. La cena a base di cinghiale (cucinato in una specie di bourguignonne) in cui Saiki e Yōko discutono della strana e apparentemente irrisolvibile invasione di donnole nella loro soffitta è l’occasione per la moglie della voce narrante di prendersi la scena con un ricordo di infanzia di grande effetto. In un’opera raccontata dal punto di vista di un uomo, Oyamada fa capire che l’unica energia trasformativa possibile è nelle parole e nella voce di una donna apparentemente ordinaria e invece sfuggente e piena di sorprese: proprio come “Donnole in soffitta”.