Sul libro

La Parigi intellettuale del dopoguerra vista dalla Rive Gauche e Rive Droite

Tre punti di vista da cui leggere ‘Rive Gauche’ di Agnès Poirier

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‘Rive Gauche – Arte, passione e rinascita a Parigi 1940 – 1950’ di Agnès Poirier (Einaudi, 2021), è un libro particolare. Non è un reportage, arte praticata normalmente dall’autrice, autorevole firma di testate come ‘Le monde’, ‘The Guardian’ e ‘The Times’. Non è un saggio storico. Non è una monografia filosofico, politico o sociale. Forse è la biografia di una generazione. Più correttamente è un affresco: un grande affresco che prova a restituire lo spirito di un’epoca e di un luogo. Il luogo è la Rive Gauche di Parigi, l’epoca è quella che va dall’occupazione nazista della città al 1950. Ma soprattutto è un’evocazione: di grandi personaggi che hanno lasciato il segno sul ‘900.

Il libro, in breve, è tutto nelle donne e negli uomini che vengono raccontati: Albert Camus, Juliette Greco, Boris Vian, Beckett, Saul Bellow, Richard Wright, Arthur Koestler, Michelle e Boris Vian, Miles Davis, Pablo Picasso, Norman Mailer e, su tutti, la coppia intorno alla quale questo mondo ruotava: Simone de Beauvoir e Jean-Paul Sartre. Artisti e intellettuali che affrontarono la guerra da resistenti, opportunisti o semplici sopravviventi. Artisti e intellettuali che dopo la guerra diedero vita all’esistenzialismo e si confrontarono con il comunismo, De Gaulle, la Guerra Fredda, il Piano Marshall, la morale e il moralismo, facendo di Parigi la capitale di tutto.

Questi personaggi ed il libro si possono guardare da tre punti di vista.

1La Rive Gauche. È il punto di vista dell’autrice. Dal di dentro. Tutto è una magia, una meraviglia, un fermento. Il libertinismo e l’infrazione delle convenzioni borghesi di questi giovani che vivevano in albergo o in case fatiscenti, il loro prendersi, lasciarsi e tradirsi, sia intellettualmente che politicamente che sentimentalmente sono, per la Poirier, i segni di una creatività inesauribile, di una bohème senza tisi, di un’utopia che per un po’ è stata possibile e addirittura realizzata. Anche le contraddizioni di questi premi Nobel e maestri nelle loro arti, contribuiscono al fascino di una genuinità, di un denudarsi in pubblico, che ha formato intere generazioni. Chi non vorrebbe vivere come Simone de Beauvoir e Sartre: amarsi tutta la vita amando tanti altri e altre per amare, in fondo, la vita?

2La Rive Droite. Dall’altra parte del fiume è sempre Parigi, ma è un’altra Parigi. La Parigi borghese, ma soprattutto la Parigi seria. Quella che ricostruisce, in giacca e cravatta, mentre di là si tira mattina nei club e nei bistrot. Quella che lavora mentre di là si fa conversazione. Quella che fa politica, mentre di là si fa teoria. Agnès Poirier ce la fa intravedere, la Rive Droite, ma non ce la racconta. È il grande difetto di questo libro: lascia sullo sfondo tutto ciò che non è Rive Gauche impedendoci, di fatto, di capire davvero quell’epoca e ciò che era in gioco nel dibattito intellettuale. Rischiando di far diventare l’affresco una cartolina per turisti della storia.

3Parigi. Parigi dovrebbe essere ovunque, in questo libro, ma in realtà si fa fatica a trovarla. Così impegnata a seguire le vicissitudini tra il vaudeville e il girotondo dei protagonisti, Poirier si dimentica la città. Se non ci fosse in apertura una bellissima cartina dei luoghi raccontati, non avremmo alcuna mappa da seguire in un nostro eventuale viaggio sentimentale. Allo stesso modo vengono troppo presto abbandonati i percorsi delle figure minori dell’epoca, che sono però le vere scintille di questo libro, come il Direttore del Louvre Jacques Jaujard che salvò dai nazisti le opere del suo museo nascondendole in tutta la Francia. E’ quando l’autrice abbandona Balzac per seguir Stendhal che il libro diventa prezioso: perché nei comprimari batte il cuore di Parigi.

 

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