Una mappa di libri per i mondiali di calcio: “Dubai – L’ultima utopia” di Emanuele Felice

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Lo svolgimento del Campionato del Mondo di calcio in Qatar sta suscitando un dibattito politico che non deve stupire. Stiamo parlando del secondo evento sportivo più seguito al mondo dopo le Olimpiadi, e da sempre lo sport è un crocevia della politica. Il problema è che questo Mondiale è considerato “sporco”: per le dinamiche controverse e criminogene con cui è stato assegnato; per i costi umani della realizzazione degli stadi e delle infrastrutture; per la natura dello Stato che lo ospita.

In sostanza: il Qatar, un piccolo emirato in cui il football non ha alcuna tradizione, ha convinto con i suoi petroldollari i facilmente corruttibili dirigenti FIFA a stravolgere il calendario del calcio per svolgere il Mondiale  d’inverno, nel deserto, in impianti costruiti utilizzando manodopera schiavile al 90% composta da immigrati, con migliaia di morti sul lavoro, per soddisfare le esigenze di marketing globale di un’autocrazia che viola sistematicamente i diritti umani, con particolare accanimento verso le donne e le persone Lgbtqi+. Questo ha portato molte opinioni pubbliche a chiedere o ad organizzare qualche forma di boicottaggio della manifestazione, senza per ora molti esiti a parte, appunto, l’intensità dei “discorsi” sulle questioni in gioco.

Ma questa attenzione a ciò che è e rappresenta il Qatar e all’atteggiamento di quello che durante la Guerra Fredda chiamavamo mondo libero è di per sé un risultato: quando la consapevolezza e le prese di posizione prendono il posto dell’ignoranza e dell’indifferenza, siamo già in una dimensione in qualche modo democratica, dove le voci della ragione, del dissenso e dei diritti umani trovano spazio.

Non è la prima volta che le grandi manifestazioni sportive svolgono questo ruolo: dalle Olimpiadi naziste di Berlino del 1936 al Mondiale di Calcio nell’Argentina della dittatura militare del 1978, passando per la Coppa Davis in Cile del 1976 e sino alle Olimpiadi cinesi del 2008 e del 2022, solo per citare alcuni esempi. Casi in cui quasi sempre gli atti di resistenza, non solo simbolici, sono stati quelli praticati dagli atleti e dalle atlete, non dalla politica. Jesse Owens che vince quattro medaglie d’oro in casa di Hitler, i guanti neri di Tommie Smith e John Carlos sul podio dei 200 metri di Città del Messico ’68, le magliette rosse dei tennisti italiani davanti a Pinochet, il rifiuto della nazionale iraniana di cantare l’inno nazionale prima della partita con l’Inghilterra di martedì. Esserci e fare qualcosa è molto più importante che defezionare.

Quindi anche Tre Buoni Motivi per Leggere ha deciso di esserci, a questi Mondiali di Calcio, a suo modo: proponendo dei libri che affrontano il ruolo del calcio e dello sport in generale nelle dinamiche geopolitiche e nella cultura della nostra epoca. Perché lo sport ha contribuito alla storia politica e sociale attraverso le sue storie, il loro resoconto da parte dei giornalisti, il loro racconto da parte di molti scrittori, la loro trasmissione da parte dei tifosi o, meglio, delle persone.

“Dubai – L’ultima utopia” di Emanuele Felice

Il primo volume che vogliamo proporvi non parla di sport, ma è il libro migliore per comprendere che gli Emirati del Golfo Persico non sono un’esotica bizzarria orientale o un’eccezione alle regole della globalizzazione né tantomeno un lacerto di un’epoca passata. Nel suo bellissimo “Dubai – L’ultima utopia” (Il Mulino, 2020), lo storico dell’economia Emanuele Felice ci accompagna nella storia e nel presente di quello che si presenta e si propone come uno dei futuri possibili delle nostre società.

Dubai, ci racconta Emanuele Felice con lo sguardo dello studioso ma anche di un viaggiatore che a tratti ricorda il Marco Polo protagonista de “Le città invisibili” di Italo Calvino, è il sogno realizzato degli spirti animali del capitalismo completamente liberato. Una città avveniristica, con i suoi grattacieli da centinaia di metri costruiti sulla sabbia grazie a tecnologie che superano ogni vincolo naturale; con i suoi alberghi e i suoi quartieri di lusso in cui l’acqua desalinizzata alimenta fontane e il più grande sistema di aria condizionata mai realizzato; con l’ambizione dei suoi governanti di costruire la “città più felice del mondo”.

Ma quale felicità? Quella puramente economica e consumistica dei pochissimi che se la possono permettere grazie al consumo del pianeta e allo sfruttamento di lavoratori immigrati ridotti a servi della gleba del XXI secolo. Una felicità dove la ricchezza, lo sviluppo e la crescita possono avanzare senza democrazia e senza diritti umani. Un’utopia che è quindi, per quasi tutti, una distopia della disuguaglianza che assomiglia molto, come ben ricorda l’autore, il futuro di Morlock e degli Eloj immaginato da H. G. Wells nel suo classico “La macchhina del tempo”.

Una distopia che potrebbe realizzarsi: Emanuele Felice spiega che Dubai – come il Qatar – possono essere per le nostre democrazie non un’anomalia da correggere e da superare, ma un modello da imitare per tutti coloro che pensano che la ricchezza materiale sia non uno dei valori, ma l’unico valore che conta. L’ideologia neoliberista ha compreso che il capitalismo può prosperare anche in regimi non democratici, come la Cina o la Russia. Molti delle peggiori ipotesi avanzate da Felice leggendo il futuro nel vetro delle architetture di Dubai si sono già realizzate, a partire dall’espansione del nazionalismo e dell’aumento dei conflitti.

Lo svolgimento dell’Expo a Dubai nel 2021/2022 non ha suscitato il dibattito di questi mondiali perché non c’era alcuna ambiguità: era solo mercato per il mercato. Il calcio, invece, ha una sua dimensione popolare e quindi anche civile, è luogo di battaglia per il cuore e le idee, in cui il futuro, proprio come i risultati delle partite, non è predeterminato ma è deciso dalle scelte degli attori. Dipende quindi da noi se Dubai e il Qatar saranno anche il nostro futuro e spegnere il televisore non serve a nulla: meglio aprire le pagine di libri come quello di Emanuele Felice.

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