“C’era una volta un libro”: una favola per tutti i booklover

SUL LIBRO

Come con "Le Città invisibili" di Italo Calvino, due sudditi tornano da un sovrano dopo un lungo viaggio per raccontare i libri più incredibili che hanno visto: micro racconti che sono più che altro affreschi fantasiosi, fotografie, a volte anche un po' nonsense, sicuramente surreali

Tempo di lettura: 2 minuti

Sotto l’albero di Natale quest’anno ho trovato “C’era una volta un libro” di Naoki Matayoshi e Shinsuke Yoshitake (Mondadori, 2023, tradotto da Gala Maria Follaco): un volume tenero, che mi ha regalato Simone, adatto a chi come me piacciono molto i libri che parlano di altri libri. L’ho finito in poche ore, un vero gioiellino da tenere sullo scaffale.

La trama, in breve

Il libro racconta la storia di un re molto anziano, amante dei libri, che sta lentamente diventando cieco. Allora, rendendosi conto di non riuscire più a leggere, invia due sudditi ai confini del mondo per trovare i libri più rari di cui parlare al ritorno. I due cittadini tornano dopo un anno, con incredibili storie da raccontare: hanno trovato il libro che mangia i segnalibri, quello che nessuno riesce a leggere perché va troppo veloce, quello che è ricercato dalla polizia, quello che se ne sta logoro in una libreria dell’usato ma è felice perché ha accompagnato la vita del suo padrone, e tanti altri. Con un finale assolutamente a sorpresa!

Gli autori sono Naoki Matayoshi, scrittore, sceneggiatore e comico giapponese e Shinsuke Yoshitake, uno dei più famosi illustratori giapponesi.

Ecco tre buoni motivi per leggere questo libro.

1. “Le città invisibili” del libro

Leggendolo mi è venuto in mente un altro libro di un autore molto amato dai giapponesi: l’italianissimo Italo Calvino, con le sue “Città invisibili“. Anche in questo caso c’è qualcuno che, reduce da un viaggio, racconta a un sovrano quello che ha visto. Non c’è Marco Polo bensì due sudditi che tornano descrivendo i libri più incredibili che hanno trovato nel loro girovagare: affreschi fantasiosi, fotografie a volte anche un po’ nonsense, sicuramente surreali. A volte la morale del racconto è chiara, a volte è aperta a molteplici interpretazioni. A volte non è neanche detto che ci sia, una morale.

2. Tenerezza giapponese

Come ho avuto modo di scrivere di recente, parte della letteratura giapponese si contraddistingue per un modo tenero, a volte quasi un po’ naif, di raccontare le cose. Soprattutto la parte che contiene il racconto più lungo – quello di un bambino che, vincendo la diffidenza iniziale, fa amicizia con una nuova compagna di classe più brava di lui ma che nasconde un segreto – è struggente e, come spesso succede in Giappone, lascia il finale molto aperto.

3. La grafica

Il libro è confezionato molto bene e fa parte di quegli esempi che ho già citato – come “Trovati un lavoro e poi fai lo scrittore” – che non contano solo sulle illustrazioni di Yoshitake, ma anche su un’impaginazione diversa dal solito. Si gioca con il tipo di pagina (a volte sembra un quaderno a righe per aumentare l’interlinea, a volte la carta è appositamente ingiallita, con il testo a volte fitto e a volte molto intervallato dalle illustrazioni, a volte prosa e a volte poesia) anche per dare un ritmo diverso di lettura, rendere l’esperienza più coinvolgente e piacevole anche alla vista, e sicuramente anche per dare ai lettori un motivo per tornare alla carta e non scegliere, almeno in questo caso, l’e-book.

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