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Non nego che l’idea di “Dieci piccoli infami” di Selvaggia Lucarelli (Rizzoli, 2017), ovvero raccontare dieci sciagurati incontri che l’hanno resa una persona peggiore, non mi ha convinta tanto: abitiamo già un mondo pieno di persone che si insultano, di eroi da tastiera pronti a rinfacciarsi anche i calzini sporchi di 10 anni fa, perché aggiungere acredine all’acredine raccontando della migliore amica delle elementari che a un certo punto – come accade SEMPRE da piccoli – ha iniziato a frequentare un’altra bambina? Perché questo desiderio di “vendicarsi” così (tra l’altro da parte di una persona che ha sempre, giustamente, lottato contro gli “sputtanamenti” del web)? Se non avessi saputo che la narrazione è dominata al 90% da considerazioni ironiche, sarei stata tentata dal dire: «Sono passati un po’ di anni, elabora il lutto e volta pagina».
Ecco tre buoni motivi per leggere questo libro che comunque, purtroppo, secondo me ha un po’ perso la verve del geniale “Che ci importa del mondo“:
1 Perché per fortuna, come ho detto prima, non sono solo dieci “microvendette”: diciamo che sono dieci pretesti per raccontare aneddoti divertenti della propria vita, con l’ironia (e l’autoironia) che Selvaggia Lucarelli sa usare molto bene.
2 Perché è molto breve e scorrevole, un piacevole intermezzo leggero e divertente.
3 Perché in fondo racconta dieci episodi che sono capitati a tutti, ma con ironia e con quel sarcasmo tagliente che la contraddistingue, e che fa tanto ridere perché, in fondo, quando ci sono capitati abbiamo pensato le stesse cose.