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E va bene, l’avrete capito ormai: mi piace l’ironia. E questa è una delle caratteristiche che più amo dello stile Oscar Wilde. Sottile, a tratti spiazzante, a volte “nonsense”, geniale. Non per tutti, aggiungerei. Chi non capisce il detto «la mia vita per una battuta» può tranquillamente lasciar perdere.
Un perfetto esempio di questa ironia si ha in “L’importanza di chiamarsi Ernesto”: non è un racconto, ma il copione dell’omonima commedia di Wilde messa in scena per la prima volta nel 1895, e replicata nel corso degli anni (non solo a teatro ma anche al cinema) con alcuni dei più grandi attori della storia. Una vera sorta di “passaggio obbligato”, una prova per tantissimi attori. A dire la verità il titolo in italiano varia: a volte è “L’importanza di chiamarsi Ernesto”, altre “L’importanza di essere Onesto”, “L’importanza di essere Franco”, o altre varianti. Tutto questo perché il titolo, in inglese, è un gioco di parole intraducibile nella nostra lingua: “The importance of being Earnest” si riferisce a un nome proprio (Ernest), ma anche all’aggettivo che significa serio, onesto (earnest).
Ecco tre buoni motivi per leggerlo:
1 Perché, come ho già scritto prima, è uno dei più grandi capolavori di Oscar Wilde, insomma chi vuole capirne la sua grande forza ironica può iniziare da qui. Anche se, bisogna dirlo, il testo è in parte “azzoppato” perché è solo un copione, dunque manca tutta la parte narrativa. Ma merita. Oh, se merita.
2 Perché i dialoghi sono incredibilmente frizzanti, ben strutturati, molto completi (e infatti stanno in piedi incredibilmente bene anche senza la struttura di un romanzo)
3 Perché i suoi personaggi “surreali” e le situazioni altrettanto “surreali” in cui si cacciano vi faranno morire dal ridere. Vincerà l’amore? Piccolo spoiler: sì ma… non crediate che non ci siano sorprese.