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Nel trentennale dell’inchiesta che tutti conosciamo come Tangentopoli, sono numerosi i libri che ricostruiscono gli anni in cui il pool milanese di Mani Pulite mise sotto inchiesta l’intero sistema politico italiano, dando un contributo decisivo a farlo crollare. Da quelle macerie nacque la seconda repubblica. Lo scontro tra buoni e cattivi, guardie e ladri, giudici e politici viene spesso riproposto proprio in questi termini semplicistici, impedendo una riflessione che vada oltre la spettacolarizzazione di una vicenda in realtà assai articolata.
A tutti questi rischi sfugge Elena Stancanelli, che con “Il tuffatore” (La Nave di Teseo, 2022) entra nel castello dei fantasmi di una nazione, non per scacciarli, ma per evocarli.
La trama, in breve
“Il tuffatore” racconta la vita di Raul Gardini, (vero) protagonista di una saga familiare ed economica che ebbe il suo apice nei favolosi anni ’80.
Gardini fu il prototipo dello yuppie italiano ed Elena Stancanelli, in questo libro che non è una biografia né un romanzo ma l’affresco di un’epoca, ne ripercorre le gesta, dall’ascesa della Ferruzzi, alle imprese di Montedison ed Enimont, alla madre di tutte le tangenti, al suicidio prima di essere arrestato.
Tre buoni motivi per leggerlo
Ci sono almeno tre buoni motivi per leggere “Il tuffatore”, un libro di cui si dovrebbe parlare molto di più di quanto non si faccia.
1Molti ricorderanno il film “Wall Street” di Oliver Stone, in cui Michael Douglas interpretava lo spietato finanziere Gordon Gekko, quello passato alla storia per il motto l’avidità è una cosa giusta. Gli anni ’80 furono il decennio d’oro della finanza all’assalto del pianeta, quando anche le “casalinghe di Voghera” giocavano in borsa. Raul Gardini, “Il tuffatore” è il Gordon Gekko italiano: un romagnolo di cultura contadina che sfida il salotto buono della finanza italiana, da Cuccia ad Agnelli. Elena Stancanelli lo racconta in tutte le sue sfaccettature dando alla letteratura italiana il suo primo eroe shakespeariano, travolto dall’avvento dell’ideologia del rancore.
2“Il tuffatore” è l’autopsia della trasformazione del capitalismo italiano, esposto sul tavolo anatomico della storia nel suo intreccio di familismo, politica e media. È anche la storia di un’Italia che abbandona la sua arcaicità, affidandosi a un uomo, Gardini, che sembra venire da prima della guerra. La Stancanelli lo descrive così come l’ultimo esponente di un certo tipo di maschio e di un certo tipo di padre, che scomparve con gli anni ’90. C’è un passaggio meraviglioso in cui si confrontano questi uomini, uomini della parola e adulti, e Antonio Di Pietro, uomo dall’italiano incerto ma mago dell’informatica, dei dati, un ragazzo. Un figlio in cerca di vendetta. Shakespeare, appunto: tra Ravenna e Piazza Affari, tra la Via Emilia e il West.
3Una parte importante, nel libro, lo riveste l’epopea de ‘Il Moro di Venezia’, la prima barca italiana a contendere la Coppa America. Era la barca di Raul Gardini, e le sue imprese tennero incollati al televisore milioni di persone che di vela, uno sport assai esoterico, non capivano nulla. Ma ‘Il Moro’ univa la tecnologia all’audacia, al rischio, alla bellezza, alla sfrontatezza. proprio come Gardini. Elena Stancanelli smonta così il mito, creato da Mani Pulite, di un paese buono in mano a politici corrotti. Il paese non era buono: tifava in tv per colui che pagava le tangenti in nome di un miracolo italiano fondato sull’immagine e non sul lavoro. E poi finì per tifare per Berlusconi. Un popolo di tuffatori. Questo libro è uno specchio, e proprio per questo rischia di passare inosservato. Rimosso. Sarebbe un peccato: perché è bellissimo.