Unabomber, le indagini riaperte e “La via delle armi” di Ugo Dinello

SUL LIBRO

Il libro di Dinello è raggelante, per quello che racconta, ma è appassionante per come lo racconta. Segue le armi, gli esplosivi disseminati nelle polveriere segrete, le tracce delle tante, troppe persone che hanno avuto accesso a quelle polveriere e che sono state addestrate a costruire ordigni

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È notizia di questi giorni la riapertura delle indagini su Unabomber, nome che viene attribuito all’ignoto o, molto più probabilmente, ignoti, che tra il 1994 e il 2006 terrorizzarono il Veneto e il Friuli Venezia Giulia. Unabomber nascondeva congegni esplosivi in oggetti come gusci delle sorprese degli ovetti Kinder, barattoli di Nutella, pennarelli, tubetti di bolle di sapone, che spesso venivano abbandonati in spiagge o altri luoghi pubblici. Diverse vittime sono rimaste mutilate, tra cui alcuni bambini, particolarmente attratti dalle insidiose trappole. Crimini odiosi, su cui hanno indagato cinque procure e decine di investigatori; ci sono stati diversi indiziati e accuse cadute in istruttoria, ma nessuna soluzione. Nessun colpevole.

Gli elementi nuovi che potrebbero essere messi a disposizione delle nuove tecnologie investigative sono emersi grazie al lavoro di inchiesta del giornalista Marco Maisano (che ha fatto riaprire il caso) e all’istanza di due delle vittime. Ma la strada per la verità sarà ancora tortuosa, perché Unabomber è uno dei grandi misteri dell’Italia degli anni di piombo, della strategia della tensione, degli apparati deviati dello stato, della Guerra Fredda.

Ma cosa c’entra Unabomber, in apparenza tipico fenomeno degli anni ’90/2000 che sembra uscito da un episodio di “Criminal Minds”, con gli anni di piombo? Lo racconta un altro giornalista, Ugo Dinello, in “La via delle armi – Gladio, Peteano, Unabomber e altre verità nascoste”, pubblicato da Laterza lo scorso aprile. Un libro ancora incandescente. Un libro che traccia il filo nero che unisce la vicenda Gladio (la struttura paramilitare segreta e illegale organizzata dalla CIA, a partire dagli anni ’50, per contrastate eventuali espansioni comuniste), la strage di Peteano (in cui morirono tre carabinieri e ne rimasero feriti altri due per l’esplosione di un’autobomba il 31 maggio 1972) e appunto gli attentati di Unabomber. Il filo è nero perché è quello dell’eversione neofascista che aveva nel triveneto una delle basi principali. Il filo è nerissimo perché attraversa depistaggi e mette a nudo il ruolo dei servizi segreti nell’insabbiare e coprire i crimini, quando addirittura non contribuiscono a organizzarli.

La letteratura italiana non ha un suo Ellroy, non ha un romanziere che sia stato capace di trasformare in narrativa l’intrico di segreti del nostro Paese (ci ha provato forse solo Loriano Macchiavelli con “Strage”), il sottosuolo delle spie e delle sabbie mobili su cui è stato edificato lo stato democratico, in cui troppi apparati di sicurezza erano affidato a uomini che provenivano dal regime fascista e in cui spesso vi è stata la tentazione di forzare una deriva autoritaria. Ellroy ha saputo fare della storia nascosta degli USA un ciclo shakespeariano ed epico, ma nel nostro paese il compito della narrazione è rimasta agli storici e, soprattutto, ai giornalisti di inchiesta.

Il libro di Dinello è raggelante, per quello che racconta, ma è appassionante per come lo racconta. Segue le armi, gli esplosivi disseminati nelle polveriere segrete di Gladio nel Triveneto. Segue le tracce delle tante, troppe persone che hanno avuto accesso a quelle polveriere e che sono state addestrate a costruire ordigni. Indaga il lato più degenerato di menti criminali usate cinicamente dai burattinai descritti in un libro uscito per Einaudi nel 2021, il saggio storico “La spia intoccabile – Federico Umberto D’Amato e l’Ufficio Affari Riservati” di Giacomo Pacini. Due lavori che letti in sequenza ci dicono quanto l’Italia abbia rischiato di veder applicato il “Metodo Jakarta” descritto nell’omonimo libro dal reporter americano Vincent Bevins (Einaudi, 2021).

Perché nelle storie di Ellroy noi non ci siamo, ma siamo parte di quella storia, della Guerra Fredda, e libri come “La via delle armi” sono l’unico modo per riscattarne le vittime. Insieme alla giustizia, che nel caso di Unabomber speriamo possa riprendere il suo corso sino alla fine.

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