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Ti inchioda alle pagine. Quando inizierete a leggerlo non potrete fare altro che una cosa: finirlo
Dopo il successo di “Kentuki”, già da noi recensito, la casa editrice Sur ripropone “Distanza di sicurezza” di Samanta Schweblin, passato ingiustamente inosservato alla sua prima uscita in Italia. Si tratta di un romanzo breve (o un racconto lungo) in cui la giovane autrice argentina affronta i temi del rapporto osservatore-osservato, soggetto che narra-soggetto che viene narrato, scrivendo una favola nera, che fa pensare certamente ad Edgar Allan Poe ma, soprattutto, al miglior Richard Matheson. Una dark novel in cui il fantastico esplora le possibilità più spaventose.
La trama, in breve: Amanda è in ospedale. O perlomeno così sembra. E parla con David, il fantasma di un bambino. O almeno, sembrerebbe essere un fantasma. Amanda era in villeggiatura con sua figlia Nina accanto alla casa della mamma di David, Carla. Carla sosteneva di essere stata costretta a far trasmigrare l’anima di David in un altro corpo per per salvarlo da un’intossicazione. Nina è scomparsa. Nel loro dialogo Amanda e David cercano di ricostruire gli eventi, misteriosi e terribili, che li hanno portati sin lì (ma dove è, di preciso, lì?) tentando di individuare il preciso momento in cui Amanda ha perso la distanza di sicurezza, ovvero lo spazio immaginario in cui un genitore può sempre intervenire per salvare un figlio.
Perché leggere questo libro (che è meglio leggere quando la luce è ancora accesa).
1Perchè ti inchioda alle pagine. Quando inizierete a leggerlo non potrete fare altro che una cosa: finirlo. Subito. Certo, è breve, ma non è solo questo. La Schweblin ha un controllo perfetto dei tempi narrativi e un senso dell’intensità e del ritmo da fuoriclasse. E la distanza media sembra proprio quella giusta per l’autrice, quella dei grandi della short story.
2Perchè fa paura. Far paura scrivendo è difficile quanto far ridere. Quando non ci sono le immagini e la colonna di sottofondo, la suspence è tutta nei dialoghi, nella descrizione delle situazioni, nei detti e, ancor più, nei non detti delle inquietudini. In questo libro Samanta Schweblin riesce a rendere la penombra per iscritto. E lo fa davvero bene: la tensione sarà così insopportabile che spererete che duri.
3Perchè dopo averlo finito avrete molte domande aperte di cui amerete discutere. Il cuore di questo libro è un enigma (composto di altri enigmi), ma la risposta è tutt’altro che facile. Non è un libro ‘dal finale aperto’, ma con diversi livelli interpretativi. Il finale lascia sospesi ma non frustrati, e sia che vi poniate di più verso il lato sovrannaturale che verso quello di fantascienza sociale (a sfondo ecologico) o verso quello più metaforico sul rapporto tra madri e figli, la cosa bella è che vi verrà voglia di parlare con altri che l’hanno letto per parlarne.