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Nel 2021, la casa editrice BD, specializzata in comics, ha dato vita alla collana di prosa 451, pubblicando titoli di fantascienza e fantasy inediti o dimenticati in Italia. Coerentemente con l’imprinting della BD la collana ha una linea grafica molto forte e accattivante, curata da Giovanni Marinovich, e tra le sue prime proposte ci sono autori che vengono dal mondo del fumetto, come Alan Moore e come Al Ewing, autore di grande successo che nel 2013 esordì nella narrativa con ‘The Fictional Man’, tradotto in Italiano da Valerio Stivè come “L’uomo immaginario”. Per le sue qualità l’opera di Ewing si rivela una scoperta molto interessante, che può piacere a diverse tipologie di lettori, non sono agli amanti del genere. Perché “L’uomo immaginario” è un romanzo sul mito del talento creativo, sull’amicizia e sull’identità nell’era della tecnologia e dell’ossessione per le immagini.
La trama, in breve
In una Hollywood alternativa, gli esseri umani convivono con gli immaginari, esseri biologici creati clonando personaggi di fantasia. Gli immaginari sono interamente biologici, nascono con l’età del loro personaggio e sono “impostati” dai loro autori, che ne determinano il carattere. Quando non vengono più utilizzati nelle loro parti possono riciclarsi in altri mestieri, ed un immaginario è lo psicologo a cui si rivolge il protagonista di Niles Golan. Golan è un autore di polizieschi in cerca della grande occasione nel cinema, ma la sua vita privata è un disastro e la sua carriera in bilico.
Quando gli viene proposto di scrivere un remake di un film degli anni ’60 e di creare l’immaginario che dovrà esserne protagonista, inizia per Niles un viaggio picaresco nella follia di Hollywood, sconvolta da un immaginario serial killer su cui indagano gli immaginari Sherlock Holmes presenti in città. La ricerca di un libro per bambini e del suo autore si incrocia con il rapporto tra Niles, una donna misteriosa e il suo miglior amico, anch’esso un immaginario, che vuole essere vero. Ma gli immaginari hanno libero arbitrio? E Niles riuscirà a scrivere la sua sceneggiatura? Nelle loro avventure, i personaggi troveranno le loro risposte.
Tre buoni motivi per leggerlo
Scritto nell’anno in cui esordì Netflix, “L’uomo immaginario” ha tutto per essere portato sullo schermo, prima o poi, ma intanto ci sono ottimi motivi per leggerlo.
1 L’idea degli immaginari è ottima. Perché realizza un sogno: quello di rendere reali i propri personaggi preferiti e di poterli avere per sempre. Perché mostra come ogni sogno possa trasformarsi in un incubo, soprattutto quando l’uomo vuole esercitare il suo potere creativo. Gli immaginari di Ewing sono infatti degli emarginati, dei diversi e, ad esempio, avere relazioni amorose e sessuali con loro è considerato disdicevole. “L’uomo immaginario” è quindi una storia sull’identità e sul confine sempre labile tra fantasia e realtà. Chi si può definire autentico? Ed è davvero desiderabile esserlo? Una tematica classica della fantascienza robotica e, oggi, dell’intelligenza artificiale, che l’autore esplora con humor e, soprattutto, delicatezza: una dote rara negli scrittori di oggi.
2 “L’uomo immaginario” ha il ritmo, incalzante, e lo stile di una graphic novel (soprattutto nei dialoghi con se stesso del protagonista), e in qualche modo ricorda Neil Gaiman, maestro nelle transizioni dal fumetto alla narrativa. Ma il vero riferimento di Ewing è Thomas Pynchon, non a caso citato esplicitamente nel testo: nomi come Aspidistra, i personaggi femminili multiformi, la trama nomadica alla ricerca di un oggetto culturale perduto controverso e moltiplicato (‘Lo splendido Mr Doll’ è un film tratto da un telefilm a sua volta tratto da un libro a sua volta tratto da… no spoiler!) sono un omaggio a “V” e a “L’incanto del lotto 49”. L’abilità dell’autore è di non provare a rifare Pynchon (impossibile) ma di essere all’altezza della propria ironia e autoironia.
3 Gestire un pastiche di generi o, se vogliamo usare un termine più comune, il pulp è più difficile di quello che si pensi. Ci vuole molto controllo per non cadere nel ridicolo, nel banale, nel caos. Al Ewing riesce ad evitare tutti questi rischi e a dare al lettore molti stimoli e molti spunti senza mai compromettere l’equilibrio del racconto. Forse si perde un po’ nel finale (del resto i finali sono difficilissimi), ma l’intreccio e i personaggi sono veramente efficaci e quando ti affezioni ai personaggi, trepidi per loro, un romanzo ha fatto centro. Se pensiamo, poi, che il libro è del 2013, è innegabile che abbia anticipato tematiche oggi molto più frequentate. In nove anni il nostro futuro accelerato può cambiare molto, ma i pregi di questo romanzo sono rimasti intatti.