“Manifesto Criminale”: perché non ci stancheremo mai di leggere Colson Whitehead

SUL LIBRO

Consigliatissimo - Popolare e impegnato; divertente e colto; pieno di ritmo e rivelatore: cosa si può chiedere di più a uno scrittore? Solo una cosa: un altro libro

Tempo di lettura: 2 minuti

Credo che amerei un libro di Colson Whitehead anche se scrivesse l’elenco del telefono. Il fatto è che Colson Whitehead riuscirebbe a rendere epico anche un elenco del telefono. “Manifesto Criminale” (Mondadori, 2023, nell’impeccabile traduzione di Silvia Pareschi) non è solo il seguito de “Il ritmo di Harlem”, ma ne è la conseguente evoluzione sia in termini stilistici che narrativi. Ancora più hard boiled ma anche più acuto nel restituire la realtà del quartiere di Harlem e di New York senza alcuna oleografia, con affetto ma senza nostalgia. Per chi ama la letteratura USA, e non solo, un romanzo imperdibile.

La trama, in breve

Come “Il ritmo di Harlem” il romanzo è diviso in tre grandi episodi ambientati ad anni di distanza, con protagonisti il commerciante di mobili e allibratore Ray Carney e il suo amico malvivente Pepper. In “Ringolevio, 1971“, Carney è trascinato in una notte di efferatezze dal poliziotto bianco corrotto Munson, a cui paga la protezione. Ma a New York è scoppiato il caso Serpico e Munson vuole scappare, non prima di aver incassato i suoi crediti. In “Nefertiti T.N.T.” il negozio di Carney diventa una delle location del film blaxploitation del regista piromane Zippo. Quando la star del film scompare a cercarla sarà Pepper e non sarà una passeggiata. In “I liquidatori, 1976“, Carney e Pepper decidono di sfidare chi sta incendiando i palazzi di Harlem per fare spazio alla speculazione edilizia, rischiando di bruciare insieme alla loro città.

In questo romanzo ci sono le Pantere Nere e il Black Liberation Army, i vecchi e nuovi criminali, i vecchi e i nuovi potenti della città, i film che Tarantino ha fatto riscoprire con “Jackie Brown’ e tre ottimi motivi per leggere questo “Manifesto Criminale”.

1. La città brucia

Questo è un romanzo di sirene e incendi (come “Manhattan Transfer”, il capolavoro di John Dos Passos) Perché Manhattan è un’isola costruita sullo scisto che per crescere divora sé stessa. Il fuoco, doloso, è l’innesco della distruzione creatrice del capitalismo e del potere. Nei romanzi di Whitehead la comunità di Harlem non è solo vittima, ma parte di questo ingranaggio. Il Circolo Dumas di afroamericani di successo e borghesi, giudici avvocati politici, è il vero cuore di una storia dove Carney, il figlio di criminale che ce l’ha fatta, è l’unico che riesce a vedere la struttura della sua città. Gli ultimi due capitoli del libro sono un capolavoro a sé stante, che entrano di diritto nella storia della letteratura USA.

2. Quando l’hard boiled diventa epica

Nessuno è riuscito come Whitehead a prendere l’hard boiled e fonderlo nel romanzo realistico. Leggendo ti appassioni e nello stesso tempo rifletti sulla realtà che la storia spalanca. É come se fosse risorto Brecht e scrivesse romanzi. Nella scrittura non c’è nulla di superfluo, e quindi nulla di solo vagamente noioso, ma questa essenzialità è di una ricchezza strabiliante e la parte sul film “Nefertity T.N.T.”, con l’epopea delle acconciature afro e le trame assurde, è gioia pura del leggere. Popolare e impegnato; divertente e colto; pieno di ritmo e rivelatore: cosa si può chiedere di più a uno scrittore? Solo una cosa: un altro libro, please.

3. New York, New York 

Il libro racconta Harlem, la uptown di Manhattan e i suo legami, controversi ma indissolubili, con downtown e Wall Street. Quindi racconta New York, il suo essere paradiso e inferno e, soprattutto nella prima parte del libro, lo fa con un punto di vista originalissimo, quello del ‘Rigolevio’, ovvero una specie di nascondino o guardia e ladri giocato su dimensione urbana. Le strade sono la vera anima di New York, dove tutto cambia e devi solo accettarlo perché il passato non tornerà mai ed è inutile rimpiangerlo. É possibile che questa saga di Whitehead abbia un terzo episodio e non vediamo l’ora.

 

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