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La strage della scuola elementare di Uvalde, in Texas, dove un diciotenne ha ucciso 19 bambini e due insegnanti a colpi di arma da fuoco, ha, ancora una volta, colpito l’opionione pubbblica di tutto il mondo.
Le stragi com Uvalde, o come quella di Columbine, hanno un grande impatto simbolico: perché muoiono tante persone – studenti – in un luogo, la scuola, che dovrebbe essere sicuro, non per mano di terroristi ma per atti di nichilismo individuale. Sono anche fatti iconici, tanto che la corposa voce “Massacro della Columbine High School” su Wikipedia comprende il capitolo “cultura di massa”, dove spiccano il documentario di Michael Moore “Bowling a Columbine”, che ha vinto il premio Oscar, e il film “Elephant” di Gus Van Sandt, che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes.
Ma purtroppo non sono fatti eccezionali. In America muoiono mediamente 7 persone al giorno a causa di ferite da armi da fuoco. Questo tipo di morte è, negli USA, ordinaria. Ed è l’ordinarietà, la cronicità di una patologia sociale, che è difficile da trattenere una volta che si sono spenti i riflettori sul fatto eclatante, su cui si consuma, inutilmente, anche la politica statunitense.
Il libro: “Un altro giorno di morte in America”
C’è un libro, pubblicato in Italia da Add Edizioni, che restituisce questa realtà: si intintola “Un altro giorno di morte in America” e lo ha scritto il giornalista britannico Gary Younge. Per questo libro-inchiesta Younge ha scelto una data a caso sul calendario, il 23 novembre 2013, e ha ricostruito la morte dei dieci ragazzi che sono stati uccisi con un’arma da fuoco in quelle 24 ore in tutti gli USA. Nessuno di queste morti aveva fatto notizia, se non sui quotidiani locali (e a volte non molto nemmeno lì), e spesso l’unico dato che aveva Younge erano i necrologi. Il reporter ha intervistato parenti, inquirenti, insegnanti, amici. A volte è stato facile, a volte no. Ma alla fine tutte le storie sono state raccontate, e le dieci vittime sono diventate la rappresentazione di quello che succede in una società segregata razzialmente e socialmente e in cui le armi circolano liberamente.
Il lavoro di Younge è meticoloso, mai voyeuristico e, soprattutto, non si ritrae di fronte alle contraddizioni. Non tutti coloro che sono stati colpiti da queste tragedie incolpano la libertà di circolazione delle armi, anche quando questa responsabilità è evidente. Le morti colpiscono soprattuto le minoranze etniche – afro e latino americani -, ma ciò che unisce tutte le situazioni è un qualche stato di deprivazione economica e culturale che possiamo tranquillamente definire “classe”. Inoltre molti dei fatti si consumano all’interno delle famiglie e coinvolgono minori.
“Un altro giorno di morte in America” non dà solo il nome a dieci vittime, affermando che anche i morti degli altri 364 giorni dell’anno hanno una storia, ma dà un nome a un problema che oggi riguarda gli USA ma che potrebbe riguardare ogni società che accetta la logica della “solitudine armata”.
È un libro che consigliamo di leggere e mentre leggetelo pensate che in quel preciso momento qualcuno sta sparando a qualcun altro. In America, ma non solo.