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Stiamo assistendo sgomenti a quello che sta accadendo in Ucraina: la prima guerra europea del XXI Secolo. Noi che viviamo in una delle parti del mondo in cui l’opinione pubblica si può formare ed esprimere, in un confronto libero di idee, siamo accomunati da un sentimento e da un’istanza.
Il sentimento è quello dell’incertezza: non sappiamo cosa ci riserva il futuro, e la nostra capacità di controllarne in qualche modo il corso si è clamorosamente frantumato. L’istanza è quella della comprensione: perché accadono le cose? Quali sono le reali intenzioni e motivazioni di chi detiene il potere? Perché siamo arrivati a questo punto? Fin dove ci si spingerà?
Il problema è che noi dibattiamo nel presente e, come scrive lo storico Ian Kershaw: “A rigore non c’è nessun presente, ma soltanto il passato e il futuro. Il passato è una via ragionevolmente ben illuminata (malgrado gli angoli opachi e le deviazioni sfocianti nel fitto di buie boscaglie) che termina davanti a un’imponete, minacciosa barriera con su scritto «futuro»“.
In questi giorni siamo travolti dalle informazioni, dalle analisi, dalle retoriche: tutto è immediato, come gli instant book che riempiono giù gli scaffali delle librerie. Ma noi pensiamo che l’unico modo per comprendere sia rivolgersi alla storia. In particolare ci rivolgiamo al ‘900, un secolo breve, come lo definì Eric Hobsbawn, che però sembra allungarsi negli anni 2000, con le sue contraddizioni e le sue pesanti eredità. Tutti i libri di cui vi parliamo sono di autori britannici e pubblicati da Laterza.
Ian Keshaw: “All’inferno e ritorno: Europa 1914 – 1949” e “L’Europa nel vortice: dal 1950 ad oggi”
Dal secondo volume di questa opera unitaria è tratta la citazione con cui abbiamo aperto questo articolo. Un lavoro monumentale ma allo stesso tempo chiaro e con il dono di saper cogliere i punti di frattura e di svolta, senza lasciare sensi di vuoto. Nell’ultimo capitolo del secondo volume si parla diffusamente del primo conflitto russo – ucraino del 2014 e il poscritto, successivo alla prima edizione, esprime con il titolo “Una nuova epoca di incertezza”, il momento che viviamo.
Con una constatazione, che è anche la nostra speranza: “Nel corso dei settant’anni trascorsi dalla fine della della seconda guerra mondiale, l’Europa […] si è trasformata in un continente le cui diverse società nazionali sono rette da valori civili e non militari […] ha imparato a risolvere i problemi non con la forza delle armi ma con la cooperazione e il negoziato. […] L’Europa ha combattuto per la libertà e l’ha conquistata“. Oggi che questa libertà è in pericolo, l’Europa dovrà decidere quali sono i suoi reali confini ideali e la traiettoria della sua azione comune.
Keith Lowe: “Il continente selvaggio: l’Europa alla fine della seconda guerra mondiale”
In questo che considero uno dei migliori lavori storici di sempre, Lowe racconta i tre anni che seguirono la fine della guerra, in cui si formò l’Europa che abbiamo conosciuto sino al 1989, soffermandosi soprattutto su due fenomeni.
Il primo riguarda la natura della seconda guerra mondiale, che fu contemporaneamente guerra di nazioni/imperi, guerra etnica/di liberazione nazionale e guerra di classe. Non tutte queste guerre finirono nello stesso momento a seconda delle nazioni, e l’ordine deciso a Yalta si affermò lentamente, prima che iniziasse la Guerra Fredda.
Il secondo fenomeno è la formazione di stati etnicamente omogenei, soprattutto nell’est sottoposto all’influenza sovietica. La Polonia, l’Ungheria, la Romania e le Repubbliche dell’URSS come l’Ucraina che ci sono oggi, nascono da un disegno che oggi si scompone. Un lavoro che allarga il nostro orizzonte su un frammento del passato decisivo e controverso e i cui strascichi sono vivissimi anche nei fatti contemporanei.
Tony Judt: “Quando i fatti (ci) cambiano”
Una raccolta di articoli e saggi brevi del compianto storico anglosassone, scritti dal 1995 al 2010. Sono interessanti soprattutto perché pongono il problema del rapporto tra il nostro oggi e il passato, smontando il mito che il crollo del Muro di Berlino abbia segnato la fine della storia. Il conflitto jugoslavo, l’11 settembre e le sue conseguenze, la ridefinizione delle potenze e dei conflitti nell’era della globalizzazione dicono che la storia, inesorabile, continua.
Il testo “Che cosa abbiamo imparato (se abbiamo imparato qualcosa)”, si apre con una considerazione essenziale: “Ci siamo cocciutamente persuasi che il passato abbia poco di interessante da insegnarci“. Invece, prosegue, abbiamo solo disimparato a ricordare, siamo immemori. Questa rimozione diventa particolarmente pericolosa rispetto alla guerra. L’Occidente ha vinto la guerra fredda ma non sempre è in grado di “capire meglio di quanto riuscissimo a vedere prima che alcuni dilemmi che ha affrontato (o nascosto alla vista) sono tutt’ora irrisolti. La storia recente fa presagire che la soluzione sarà altrettanto introvabile“. Forse, ma ci dobbiamo provare, per aprire uno spiraglio di luce, e di pace, nella barriera del futuro. L’Europa l’ha già fatto, può rifarlo.