Gialli che passione: 5 libri con cui iniziare il 2023

Tempo di lettura: 5 minuti

Ho una tradizione: il primo libro che leggo all’inizio dell’anno è sempre un giallo. E se negli ultimi tempi la scelta era stata quasi sempre facile, quest’anno avrò l’imbarazzo della scelta. Alla fine sceglierò tra questi cinque, sapendo che prima o poi li leggerò tutti.

Li avete già letti? Avete qualche consiglio da dare?

Comunque, buon 2023 di enigmi a tutti!

1 Louise Penny: “Una specie di follia”, Einaudi

Ci sono diversi ottimi motivi per leggere i gialli con protagonista il Commissario della polizia del Quebec Armand Gamache. Il primo è che la Penny è forse la migliore autrice di giallo tradizionale in circolazione (soprattutto dopo che gli ultimi due lavori di Fred Vargas hanno segnato un po’ il passo). Il secondo è che sta per arrivare in Italia, su Sky, la prima stagione della serie tv ispirata ai romanzi della Penny, con il grande Alfred Molina nei panni di Gamache.

“Una specie di follia” è il secondo romanzo ambientato nell’incantevole e freddissima Three Pines, anche se è il sesto ad essere pubblicato da Einaudi. Il consiglio, se volete guardare la serie, è quindi di recuperare “Natura morta”.

Il libro: Mentre i residenti di Three Pines approfittano della neve alta per sciare e bere cioccolata calda nei bistrot, la vacanza del commissario Armand Gamache viene interrotta da una richiesta all’apparenza semplice: una professoressa di statistica, Abigail Robinson, terrà una conferenza presso l’università locale e bisognerà gestirne la sicurezza. Ma quando Gamache inizia a informarsi sul conto della donna, scopre un programma controverso e riprovevole, e implora l’università di annullare la lezione. In nome della libertà d’espressione, l’ateneo rifiuta e accusa Gamache di censura e codardia intellettuale. In poco tempo, le opinioni della professoressa Robinson iniziano a diffondersi per Three Pines e le discussioni diventano dibattiti, i dibattiti diverbi, i diverbi litigi. E quando un omicidio viene commesso, spetta a Gamache e ai suoi due vice, Jean-Guy Beauvoir e Isabelle Lacoste, indagare sul crimine e su quella assurda follia collettiva.

2 Benjamin Stevenson: “Tutti nella mia famiglia hanno ucciso qualcuno”, Feltrinelli 

Il giallo si presta molto alla rivisitazione ironica, alla metaletteratura, al gioco letterario. Ne sono un perfetto esempio film di successo come “Knives out” o il recentissimo “Glass onion”.

In questo solco si inserisce il libro di Benjamin Stevenson che sta ottenendo un grande successo.

Il libro: A Ernie Cunningham le riunioni di famiglia non sono mai piaciute. Di sicuro c’entra il fatto che tre anni prima ha visto suo fratello Michael sparare a un uomo e lo ha denunciato, un oltraggio che non gli è ancora stato perdonato. Perché i Cunningham non sono una famiglia come le altre. C’è solo una cosa che li unisce: hanno tutti ucciso qualcuno.
Ora hanno deciso di ritrovarsi per un’occasione speciale: trascorreranno un fine settimana in un resort di montagna per festeggiare l’uscita di prigione di Michael. Ma i Cunningham non sono tipi da stare in pantofole davanti al caminetto.
Il giorno dell’arrivo di Michael, viene trovato il cadavere di un uomo. Ha le vie respiratorie ostruite dalla cenere, come se fosse morto in un incendio, ma non ha ustioni sul corpo. Mentre una bufera si abbatte sul resort isolandolo e la polizia brancola nel buio, spetterà a Ern capire se il colpevole è uno dei suoi familiari, prima che vengano uccisi tutti.

3 Carlo Lucarelli: “Bell’Abissina”, Mondadori 

I gialli di ambientazione storica sono probabilmente i lavori migliori di Carlo Lucarelli, sin dai tempi della trilogia del Commissario De Luca, ambientati tra la Repubblica di Salò e il primissimo dopoguerra (ma anche “Guernica”, un gioiello che meriterebbe una riscoperta). Con “Bell’Abissinia” l’autore bolognese torna a raccontare l’Italia fascista, in un momento in cui ce n’è parecchio bisogno.

Il libro: Nella “Presidenziale”, la sezione della polizia che si occupa della sicurezza di Mussolini, c’è un gruppo molto particolare chiamato “Squadra Fognature”, comandato a perlustrare il sottosuolo di strade e piazze su cui passerà il Duce, a caccia di eventuali bombe. Ed è durante una di queste perlustrazioni che agli inizi degli anni ’30 gli agenti della Fognature trovano le ossa dello scheletro di una donna, sgozzata e scarnificata.

Dieci anni più tardi, a Cattolica, il commissario Marino, segretamente e attivamente antifascista col nome di battaglia “Locàrd”, riceve le confidenze di uno degli ex agenti della Fognature: forse la morte della ragazza, e di tante altre, ha a che fare con la famiglia di Francone Brandimarzio, un ricco imprenditore che ha fatto fortuna nelle Colonie, e che adesso si è ritirato a Cattolica, insieme al figlio Attilio e a una giovane e affascinante ragazza eritrea.Una famiglia all’apparenza irreprensibile, e soprattutto intoccabile, dal momento che foraggia gerarchi corrotti e ladri di regime, occultando e distribuendo fiumi di denaro sporco.

Il commissario Marino si rende conto che, oltre a smascherare un assassino seriale, questa indagine può mettere in grave difficoltà il regime, ma il filo su cui si muove è davvero sottile, e il rischio di cadere dietro l’angolo.

4 Eric Fouassier: “L’ufficio degli affari occulti”, Neri Pozza

Il giallo nasce ai confini del gotico, dove la ragione e la paura si incontrano. Il giallo inizia nelle case borghesi e nelle strade più anguste delle metropoli. Ed è sempre bello quando il giallo torna a casa, nel XIX Secolo, dove lo riporta Eric Fouassier.

Il libro: Un bambino corre, a piedi nudi, nella notte. Corre senza meta nelle viuzze buie e strette della Parigi cenciosa che festeggia l’ascesa al trono di Luigi Filippo. Il suo cuore è un tamburo impazzito. La mente, occupata da un solo pensiero: sfuggire agli artigli del Vicario, che è lì da qualche parte, nell’oscurità, pronto a dargli la caccia tutta la notte. In un vicoletto, il bambino scorge un coccio di bottiglia tra le immondizie. Lo afferra per tagliare il tendone più vicino. Un taglio discreto, giusto per entrare. Una volta dentro, lo accolgono visi da incubo, emersi dal nulla, in un terrificante labirinto di specchi da cui è impossibile uscire.
Dall’altra parte della città, in uno dei quartieri ricchi della capitale, nella residenza di Charles-Marie Dauvergne, deputato alla Camera di fresca nomina, si festeggia il fidanzamento di Lucien Dauvergne con la figlia di un industriale normanno. Lucien è un giovane frivolo, un dandy elegante e bohémien. Nel corso della serata, sale al piano superiore della casa e scompare letteralmente dalla festa. Temendo un capriccio del suo incorreggibile rampollo, Madame Dauvergne si avventura anche lei al primo piano, e vede il figlio inginocchiato dinanzi a un grande specchio di Venezia con la cornice dorata. Il giovane si alza, abbozza un saluto, poi avanza con passo risoluto verso la finestra e si getta serenamente nel vuoto.

L’inchiesta su una tragica, illogica morte del figlio di un personaggio illustre suscita sempre non pochi timori nelle alte sfere del potere. Alla Süreté viene perciò convocato e istruito in tutta fretta Valentin Verne, giovane ispettore della Buon costume, il servizio di protezione della morale. A Valentin, che sotto la sua apparenza eterea cela una durezza, una determinazione tagliente quanto il filo di una lama, non resta che accettare il nuovo incarico, anche se comporta, per il momento, la rinuncia a venire in aiuto di Damien, un orfano indifeso caduto nelle grinfie del mostro che si fa chiamare il Vicario.
Accolto in Francia da uno straordinario successo di critica e di pubblico, L’ufficio degli affari occulti è un romanzo irresistibile in cui i generi si uniscono in un intrico fatto di esoterismo e scienza, di misteri e codici da decifrare insieme al protagonista delle sue pagine: Valentin Verne, responsabile dell’Ufficio degli affari occulti della Süreté di Parigi.

5 George Simenon: “Dietro le quinte della polizia”, Adelphi

Anche il giallo ha la sua non fiction. Perché i delitti accadono davvero, e spesso sono più assurdi e inspiegabili di quelli dei romanzi. Soprattutto raccontano gli uomini e la nostra società: e nessuno come Simenon sapeva restituirlo nelle sue storie.

Ma pochi sanno che il grande romanziere belga, che era anche giornalista, passò quasi quattro anni (tra il 1933 e il 1937) al Quai des Orfèvres, con i poliziotti veri, osservando la vita vera di Parigi e scrivendo appunti e reportage che ora Adelphi ripropone in un volumetto imperdibile.

Il libro: È lo stesso commissario Maigret, nelle sue Memorie, a raccontare (in una esilarante mise en abyme) co­me gli era capitato di far visitare i locali della Poli­zia giudiziaria a uno scrittorello dotato di «giova­nile sfrontatezza», tale Georges Sim. Nella realtà fu Xavier Guichard, che ne era il direttore, a pro­porre, all’inizio degli anni Trenta, a un Simenon che di Maigret ne aveva già pubblicati una mezza dozzina, di trascorrere qualche giorno al Quai des Orfèvres: giusto per rendere più verosimili il suo personaggio e l’ambiente in cui si muoveva. Lui non se lo fece ripetere due volte e ne approfittò anche per scrivere una serie di articoli. Tuttavia, poiché (come il lettore ha già potuto constatare nei tre precedenti volumi dei reportage) non di rado il romanziere eclissa il giornalista, non solo Simenon annota spunti per i suoi futuri romanzi, ma si toglie lo sfizio di raccontare celebri inchie­ste, casi giudiziari clamorosi, aneddoti singolari. Dai quali emerge anche uno spaccato della Parigi dell’epoca, con la fauna dei suoi quartieri malfa­mati, gli immigrati delle periferie, i ricchi borghe­si delle strade eleganti, i piccoli artigiani degli ar­rondissement più poveri: una Parigi che già allora cominciava a cambiare profondamente – e che oggi è quasi del tutto scomparsa. Così com’è scomparsa quella polizia di cui Simenon ci mostra all’opera gli ultimi esemplari, e della quale non nasconde di rimpiangere i metodi sbrigativi ma efficaci.

 

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