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La lettura di “Dolore e furore. Una storia delle Brigate rosse” di Sergio Luzzatto (Einaudi, 2023) è stata per me particolarmente intensa per diversi motivi.
Perché di Sergio Luzzatto sono stato allievo all’Università di Genova, se pur per il tempo limitato di un seminario sul corpo di Mussolini nell’ambito del corso di Storia Contemporanea tenuto da Antonio Gibelli. In secondo luogo, perché scrivendo la storia della Colonna genovese delle BR, Luzzatto scrive anche la storia di Genova dal ’68 ai primi anni ’80, e Genova è la mia città. Sono nato nel 1974, nel pieno di quel periodo, ma diverse persone raccontate nel libro le ho poi conosciute, alcune molto bene. Benissimo invece conosco i luoghi in cui le vicende si snodano, e la scelta di inserire nel testo delle mappe rende molto forte l’immersione nella storia.
Infine perché i funerali di Guido Rossa sono uno dei primi ricordi nitidi della mia vita: mio nonno, mio padre e mio zio che escono di casa sotto una pioggia impietosa, per partecipare a un momento che Luzzatto descrive molto bene nel suo lavoro, cogliendone i sommovimenti più carsici.
Storia delle Brigate Rosse a partire da Genova
E proprio seguendo o, meglio, inseguendo, la vita di Riccardo Dura, brigatista che sparò il colpo mortale a Guido Rossa, Sergio Luzzatto ricostruisce una microstoria delle BR che permette di scrivere un capitolo storiografico decisivo sulla vicenda brigatista italiana. Non solo perché a Genova le Brigate Rosse compirono il loro primo sequestro di rilievo (il giudice Sossi), il loro primo omicidio (il giudice Coco) e il loro errore più ferale (l’omicidio dell’operaio Guido Rossa, appunto), ma perché Genova era, delle città del triangolo industriale, la più singolare.
A fianco della classe operaia delle grandi fabbriche vi era infatti quella classe operaia d’eccezione che sono i lavoratori del porto e la vita della città si volgeva sotto l’egida delle due chiese – la curia del Cardinale Siri e il Pci – sfidate in quegli anni dalle rispettive eresie: quella di Don Gallo e quella della sinistra extraparlamentare.
Gli storici e i critici hanno dato molta attenzione al libro di Sergio Luzzatto, che sicuramente fa scelte che si prestano al dibattito. In particolare, quella di dedicare una grande attenzione al contesto in cui molti brigatisti in carne e ossa si formarono, concentrandosi sulla facoltà di Lettere di Via Balbi, dove alcuni professori diventarono terroristi, e sulla nascente società dei marginali e degli esclusi dalle dinamiche del compromesso tra capitalismo industriale e forze social popolari. Per questo Riccardo Dura viene seguito dal manicomio alla nave riformatorio Garaventa, alla via da marittimo precario sino alla militanza in Lotta Continua e infine alla clandestinità che lo porterà alla leadership della colonna genovese, agli omicidi, alla morte.
Un lavoro importante per chi non ha esperienza di quel periodo e può solo studiarlo
Non ho le competenze sufficienti per schierarmi nel dibattito prettamente storico, ma penso che il lavoro di Luzzatto sia importante, se non decisivo, proprio per chi, come me, non ha un’esperienza vissuta di quel periodo e può solo studiarlo.
Luzzatto ricostruisce il sottotesto della storia o, detto in un altro modo, la trama sottile delle cose: tesse il filo dell’orizzonte – che è il titolo di un romanzo su quel periodo di Antonio Tabucchi – di vicende umane complesse e tragiche e riesce a ricostruire la storia delle idee dell’Italia di quegli anni (valga come esempio la ricostruzione dell’impatto che ebbero la pubblicazione del libro di Michel Foucault “Io Pierre Rivière, avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello…Un caso di parricidio nel XIX secolo” e l’antipsichiatria di Basaglia).
In questo gli studenti di lettere genovesi della mia generazione non possono che intravedere le lezioni del professor Claudio Costantini, straordinaria figura intellettuale che ha il suo posto in “Dolore e furore”.
Una grande narrazione che ha il coraggio di esplorare strade poco battute
Del resto, in questo libro, emergono quelle che a mio avviso sono due delle principali qualità dell’autore: il fascino della sua scrittura degna di un grande narratore, e la capacità e il coraggio di esplorare strade poco battute, probabilmente consapevole delle polemiche che ne conseguiranno. Ma se si dibatterà ancora a lungo se le Brigate rosse trassero la loro forza dalla classe operaia “tradita” o da un’alleanza tra settori intellettuali e marginali, quello che emerge chiaramente è la ricostruzione della spirale di violenza che avvinghiò brigatisti e Stato, in una guerra privata che ad un certo punto si staccò dalla politica per diventare brutale regolamento di conti.
E una guerra privata è sempre guerra di persone, come quelle di cui Luzzatto ricostruisce la storia, come ha fatto per un’altra epoca storica (quella che va dalla Comune di Parigi agli inizi del ‘900) Alex Butterworth in “Il mondo che non fu mai. Una storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti” (Einaudi 2011). Storie di generazioni percorse dal furore e scandite dal dolore. Storie difficili ma che ci appartengono e per questo da affrontare: un merito incontestabile di “Dolore e furore”, un libro non definitivo (i libri non lo sono mai) ma inevitabile.