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La serie “Blanca” che sta andando in onda in queste settimane su Rai Uno sta ottenendo un grande seguito di pubblico. È un successo meritato: per la regia moderna e all’altezza delle produzioni internazionali, per la bravura delle attrici e degli attori – a partire da Maria Chiara Giannetta -, per la bella colonna sonora, per la caratterizzazione dei personaggi (e per le belle immagini di Genova, ma questo lo diciamo da indigeni orgogliosi). Per tutti questi elementi “Blanca” è cultura popolare di qualità. Ma per godersi la fiction bisogna fare uno sforzo: dimenticarsi del tutto, o quasi, che stiamo guardando dei gialli tratti dai noir di Patrizia Rinaldi ed editi da e/o.
La televisione – generalista e piattaforme – è ingolfata di polizieschi, genere che da quando è nato sembra non aver mai vissuto un momento di crisi e di essere, anzi, garanzia di successo. La novità relativamente recente è la trasposizione sullo schermo non di autori stranieri bensì italiani. Anche grazie a Camilleri e al suo commissario Montalbano il giallo italiano non è mai stato così in forma. Ma con “Blanca” l’impressione è che la trama gialla sia usata un po’ come pretesto e un po’ come marketing, risultando alla fine la cosa più debole della fiction e rischiando di scontentare gli appassionati del genere per i suoi difetti di scrittura.
Ma quali sono i motivi per cui “Blanca” come giallo non funziona? I principali sono tre.
1Innanzitutto la serie rimane a metà di troppi guadi, sia in termini stilistici che narrativi. Introduce il concetto di team, caro alle fiction Usa più mainstream (‘Law and Order’, ‘Criminal Minds’ o ‘CSI’, solo per citarne alcune), ma vorrebbe far emergere le doti intuitive di Blanca. Prova a proporre enigmi da giallo classico ma poi punta molto sull’azione. Vorrebbe essere in qualche modo realistica ma non rinuncia ai tratti di inverosimiglianza logica tipici delle detection story. Il risultato è che la ricerca del colpevole del delitto è sempre zoppicante, se non pasticciata, e l’unico modo per non farsene distrarre è… non considerarla. “Blanca” non ha le trame di Montalbano nè l’impatto da noir puro dell’Alligatore.
2Come la maggior parte delle serie poliziesche di oggi, in ogni episodio vi sono due linee narrative. Una riguarda il singolo caso, che inizia e si conclude nella puntata, l’altra segue i personaggi principali di episodio in episodio. Anche questa seconda è una trama gialla che coinvolge la protagonista (chi ha provocato davvero la morte della sorella di Blanca? È stato il colpevole indicato proprio da Blanca che si è impiccato in carcere, o qualcun altro? Chi sta spiando Blanca e con quali intenzioni?), con le inevitabili sfumature rosa (meglio il commissario Liguori o il cuoco Nanni?). Il problema è che questa sottotrama prende abbastanza, ma è troppo poco sviluppata a scapito dei “casi”, ammorbati dai difetti di cui abbiamo parlato. Era il problema che aveva, ad esempio, la serie tv Netflix ‘Lucifer’, e che è stato risolto solo quando la sottotrama è diventata LA trama, prendendosi del tutto la scena.
3La non vedente Blanca funziona come personaggio, ma non come personaggio poliziesco. Non può essere Daredevil, e anche se la sua “vista mentale” viene rappresentata quasi citando Undici di ‘Stranger Things’, la dimensione realistica impedisce qualunque sviluppo di questo tipo. C’è un momento, nella prima puntata, in cui Blanca tasta il polso di una persona per capire se mente, a seconda delle pulsazioni: ecco che qui sembra una specie di Cal Lightman di ‘Lie to me’ e sarebbe stata una strada da portare fino in fondo. Invece le doti della protagonista vengono sminuite e servono di più alla caratterizzazione melodrammatica che alla soluzione dei casi. E rimane il dubbio che la Rai stia cercando un pubblico più giovane ma sia anch’essa ancora a metà del guado, ma siamo fiduciosi.