Tempo di lettura: 2 minuti
Di Paolo Nori ho letto recentemente “I russi sono matti” e mi sono divertita tantissimo. Così, al Salone del Libro di Torino, quando ho visto “Repertorio dei matti della città di Genova” a cura di questo autore (Marcos y Marcos, 2017) da brava genovese non ho potuto fare che comprarlo e ridere come una matta mentre lo leggevo. Tra l’altro, Nori ha curato “repertori dei matti” delle città di mezza Italia, se qualche lettore fosse interessato a cercare la propria.
Andiamo dritti al sodo, ecco perché leggerlo:
1 È provocatorio e dissacrante: sono micro-episodi spesso lunghi quanto una frase che raccontano – con lo stile di Nori, di cui parlerò più sotto – dei “matti” della città di Genova. Ne ho parlato anche su GenovaToday: c’era quello che su un muro di Genova aveva scritto “Basta scritte sui muri di Genova”, una signora all’Acquasanta che “se le passavi davanti a casa e non era in buona, ti rincorreva con l’accetta”, ma anche personaggi noti in città tra giornalisti, politici, cantautori e cos’ via. È un piccolo geniale caleidoscopio di follia che mescola tutto e che restituisce una riflessione: dov’è il confine tra normalità e stravaganza? Chi è che lo decide? È più ‘matto’ quello che – come direbbe De André – ha un mondo nel cuore e non riesce a esprimerlo con le parole, o il miliardario che mette un cartone sulla finestra rotta per tre anni pur di non dare 50 euro a un vetraio?
2 Fa davvero molto ridere: i genovesi potranno riconoscere luoghi, fatti, personaggi noti e meno noti (anche se senza nome) in questo breviario che non parla di pettegolezzi ma di piccole chicche che, grazie al talento di Nori ma anche dei collaboratori che hanno contribuito a scovarle, hanno in sé una certa poesia. E alla fine anche noi genovesi rideremo delle nostre stranezze, considerate per tanto tempo normalità, ma che sembrano davvero follie viste con gli occhi di una persona che arriva da fuori (uno su tutti, il caso dei continui litigi per rinominare l’ex casello autostradale di Voltri, ora Pra’).
3 È molto breve, si legge in un giorno, e gli aneddoti sono spesso lunghi un paio di frasi, con lo stile inconfondibile di Paolo Nori: il testo scorre come un flusso di coscienza, tra ripetizioni e un uso della punteggiatura (artifici voluti) che strizzano l’occhio molto più all’italiano parlato che a quello scritto.