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Uno dei libri che siamo orgogliosi di aver presentato quest’estate è “Ai fiori non serve il pettine” di Ilaria Santambrogio e Marina Gellona, una bella serata di inizio luglio in dialogo con un’altra autrice, Sara Marzullo.
Il libro è uscito nel 2023 per la casa editrice indipendente Capovolte che ha inaugurato una collana, “Ribelle”, in cui pubblica storie di coraggio e fuori dagli schemi. E la storia di Ilaria (che lei stessa ha scritto con Marina) è decisamente audace.
La trama ruota intorno alla storia di Ilaria Santambrogio, affetta da alopecia fin da quando era una ragazzina. Il rapporto complesso con la famiglia, il lavoro in una società performativa, la paura in qualche modo di essere diversa e di avere un corpo non conforme la accompagnano per tutta la vita fino a quando Ilaria impara ad accettarsi. E lo fa facendosi tatuare un bellissimo fiore che parte dalla schiena e le arriva sulla testa, un fiore che sboccia e la fa sbocciare. Ecco tre motivi per leggere questo bellissimo libro scritto a quattro mani da Ilaria, coach e consulente aziendale, con Marina Gellona che è giornalista e autrice con master in Tecniche della narrazione alla scuola Holden.
1. Essere “non conformi” in una società che tende a plasmarci
Tramite la sua storia, Ilaria (con Marina) parla della difficoltà di muoversi in una società che ha due caratteristiche: la prima è che in realtà è ancora molto patriarcale, dunque una donna con un corpo “non conforme” fa fatica dieci volte tanto. Vale per l’alopecia ma vale anche per qualsiasi caratteristica che non renda il corpo di una donna “standard”. Perché sì, ancora oggi il corpo di una donna è soggetto a giudizi e critiche molto di più di quello di un uomo. E allora una donna che soffre di alopecia deve preoccuparsi di avere la parrucca e, ad esempio, di non indossarne una troppo diversa dall’altra altrimenti poi la gente se ne accorge (e poi come si fa in ufficio, con i clienti, con i capi?).
E se si lascia il capo scoperto bisogna fare l’abitudine alle occhiate della gente e ai commenti imbarazzanti di chi confonde l’alopecia con le conseguenze della chemioterapia. Insomma si finisce, proprio malgrado, per essere comunque al centro dell’attenzione. E per volgere automaticamente anche il proprio sguardo su quello che manca, anziché su quello che c’è.
La seconda caratteristica della nostra società, legata alla prima, è che viviamo in un modello performativo che pretende di plasmarci in prodotti tutti uguali e controllabili. Chi non risponde a queste due esigenze viene messo di lato. Spesso in modi subdoli e insidiosi, magari con il mobbing.
2. Un fiore per sbocciare e cambiare la propria vita
Il percorso di Ilaria non è facile: attraverso le sue peripezie familiari e lavorative e grazie anche al contatto con una psicologa, impara ad accettarsi, in tutti i sensi.
Accettare il fatto di perdere i capelli e di non nasconderlo più, facendosi tatuare un bellissimo fiore che sboccia sulla testa per sentirsi “bella anche senza“.
Accettare il fatto di non essere tagliata per determinati ambienti lavorativi tossici: durante la sua trasformazione, Ilaria trova anche la serenità per lasciare il nuovo lavoro, che pure aveva desiderato, ma che scopre essere una “terra avvelenata” in cui la regola è far sentire le persone inadeguate, mai abbastanza, sotto controllo, senza gentilezza e rispetto. Ecco, qui Ilaria per la prima volta nella sua vita compie un gesto coraggioso: lascia andare. Si prende tempo e spazio. Ed elabora per sé una nuova strategia, “sbocciando” anche in questo senso.
3. Una boccata d’aria fresca adatta a tutti
Infine il linguaggio profondo ma allo stesso tempo semplice e il buon ritmo lo rendono un libro adatto a tutti. Quasi 300 pagine che si possono tranquillamente leggere in pochi giorni, per una boccata d’aria fresca che mi ha fatto divorare le pagine come fossero ciliegie: una tirava l’altra. Perché Ilaria – tramite la sua esperienza – attraversa temi che riguardano tutti, e in special modo tutte. Per questo non posso dire che: grazie.