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Lo scrittore Gerald Murnane è da molti anni inserito tra i favoriti al premio Nobel per la Letteratura (quest’anno, lo ricordiamo, vinto dalla sudcoreana Han Kang), eppure è molto poco conosciuto fuori dall’Australia. Nonostante sia molto amato dai critici e appartenga alla vasta schiera della letteratura anglosassone, rimane un autore periferico, proprio come il suo Paese, da cui non si è mai mosso. Non è quindi strano che la sua opera venga proposta al pubblico italiano dalla piccola casa editrice indipendente Safarà (la stessa che ha pubblicato “Povere creature”, il romanzo di Alasdair Gray da cui è stato tratto l’omonimo film pluripremiato), che speriamo possa raccoglierne i frutti come è successo a L’Orma con Annie Ernaux.
Del resto la ricchezza del microcosmo umano di chi vive in uno spazio vastissimo e molto lontano da praticamente tutto è il cuore della narrativa di Murnane e il memoir “Qualcosa per il dolore. Memorie dal mondo dell’ippica” (2024, tradotto da Roberto Serrai) è forse la migliore porta d’accesso all’universo dell’autore di “Tamarisk Row” e “Le pianure”.
Diviso in tanti brevi capitoli che si leggono come dei racconti, “Qualcosa per il dolore” ruota interamente intorno alla grande passione/ossessione dell’autore: le corse dei cavalli. È ascoltando le radiocronache delle gare, andando all’ippodromo, leggendo i risultati sui giornali, scommettendo, che Gerald Murnane ha trascorso tutta la sua vita, e intanto scriveva, trasformando le sue esperienze e le persone che osservava in storie. Storie coinvolgenti, perché molti di noi (forse tutti) viviamo di qualche passione/ossessione. La nostra, ad esempio, sono i libri, e i tre buoni motivi per consigliare quelli che abbiamo amato, come questo.
1. La passione e l’immaginario di una vita
In questo libro l’autore ripercorre tutta la sua esistenza, dagli anni ’40 ad oggi. Un’esistenza semplice, quasi schiva, che poteva anche essere dedicata esclusivamente alle corse dei cavalli, che il giovane Murnane preferiva alle ragazze, agli amici, a qualunque cosa. Poi conoscerà sua moglie all’ippodromo, e dopo la prematura morte di lei l’ippica sarà, ancora “qualcosa per il dolore”. Diventerà un romanziere e i suoi personaggi saranno versioni narrative di allenatori, proprietari di cavalli, fantini. Per tutta la vita Murnane ha memorizzato e raccolto i colori delle divise delle scuderie e che per anni ha costruito una specie di mondo parallelo, un gioco dettagliatissimo che potremmo definire “fanta ippica”, dove tutti coloro che gareggiavano erano frutto della sua immaginazione. Entriamo così in due mondi: quello di un’esistenza e quello di un’immaginazione, raccontati in un modo che ti fa venire voglia che il traguardo non arrivi mai.
2. Uno sguardo pieno di empatia
La cosa più bella di questo memori è che ci restituisce una straordinaria empatia per la vita e per chi incontriamo sul nostro cammino. L’autore ci dice, attraverso i suoi ricordi, che in ogni persona pulsa una scintilla di umanità autentica, se solo sappiamo prestare attenzione e riconoscerla. Murnane non nasconde nulla di sé e di questa umanità piena di debolezze, che commette molti errori e che spesso fa fatica ad adeguarsi agli impetuosi cambiamenti della modernità, ma restituendone le imperfezioni e le fragilità le riscatta nella forza delle storie e della scrittura. Così la bellezza di “Qualcosa per il dolore” è nell’essere capace di lenire il nostro, di dolore.
3. Camminando e scrivendo ai confini del baratro
“Io mi chiamo così per via di un cavallo da corsa. L’ho saputo sin da piccolo e lo consideravo un segno di distinzione”. Il padre dello scrittore era uno scommettitore, che ha trasmesso al figlio la passione che ne ha spesso condizionato in modo drammatico il destino. Perché il demone del gioco porta pochi successi e molte cadute, che coinvolgono anche chi circonda il giocatore. Murnane riesce però a tenere sotto controllo le dinamiche autodistruttive delle scommesse – non senza correre rischi – dedicandosi interamente al lato ludico del mondo dell’ippica. La sua è una passione totalizzante, come può essere quella di un tifoso, ma non diventa mai un vizio. Ma “Qualcosa per il dolore” è il racconto di una vita sempre percorsa ai confini del pericolo, della vertigine della tentazione, della perdita, di quella che Elena Ferrante chiama “smarginatura”: il confine in cui si muovono, spesso, i grandi scrittori.