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La casa editrice e/o ha portato in Italia il secondo libro che si è aggiudicato il riconoscimento più importante della narrativa giapponese, il premio Akutagawa, che viene attribuito due volte all’anno, nel 2022 (l’altro vincitore fu “Il limite invisibile” di Haruka Tono). Si tratta di “Il mio idolo in fiamme” di Usami Rim (nell’ottima traduzione di Gianluca Coci), un romanzo breve di grande intensità, che potrà essere apprezzato in Italia soprattutto dalla Generazione Z, a cui appartiene anche l’autrice, nata nel 1999.
La trama in breve
Akari, 16 anni, non è a suo agio con il suo corpo, non va bene a scuola, arranca nel suo lavoretto in un bar, è in conflitto con sua madre (suo padre lavora all’estero) e la sua unica ragione di vita è il suo idolo, Masaki, cantante dei Mazamaza, una boy band j-pop.
Ma anche Masaki non sta vivendo un periodo facile, dopo che ha maltrattato una fan attirandosi molto critiche e precipitando nelle classifiche di popolarità. Akari è tra quelle che gli rimane leale, impegnandosi ancora di più per sostenerlo con l’acquisto di dischi e gadget e aggiornando il blog che gli ha dedicato. Ma la caduta del suo idolo sembra inarrestabile e Akari deve cominciare a capire se e come potrà vivere senza di lui.
Il romanzo di Usami Rim affronta tematiche simili a quelle di Y/N di Esther Yi, ma con una scrittura più essenziale che si concentra sulla realtà nuda e cruda della protagonista. Oltre a questo ci sono poi altri tre buoni motivi per leggere “Il mio idolo in fiamme”.
1. Uno sguardo al fenomeno giapponese degli idol
“Ogni adolescenza fa rima con la guerra”: cantavano così i Tre Allegri Ragazzi Morti, e la storia di Akari è proprio questo, ovvero la storia di un conflitto con sé stessa e con il mondo che la circonda. Un conflitto con la sua inadeguatezza. La madre e la sorella le rimproverano di essere una fallita perché pensa solo al suo idolo, ma forse la verità è che lei si aggrappa al suo idolo per sfuggire al proprio fallimento. Il fenomeno degli idol e delle idol è molto giapponese, ma se ci pensiamo anche in occidente appartenere a una fandom è un’esperienza sempre più totalizzante. Quasi un lavoro perché ogni fan compete con gli altri per essere un riferimento. “Il mio idolo in fiamme” è la storia di una condizione esistenziale che è facile liquidare come una patologia dei ragazzi: in realtà fa tutto parte del nostro mondo e ogni adolescenza ci riguarda.
2. Una riflessione sulla vita impietosa delle star
Gli idoli, in Giappone, durano “poco”. Devono essere giovani, devono essere sempre all’altezza delle aspettative dei loro fan e tra queste c’è la purezza: non possono essere scortesi, non possono innamorarsi (perché devono essere devoti solo ai loro fan), non possono avere una vita privata. Certo, può essere un esilio dorato. Ma oltre ad essere fugace, è disumanizzante. Un episodio del romanzo particolarmente forte è quando vediamo i fan chiamati a votare il preferito della loro boy band: chi perde sarà afflitto, anche nel successo. Masaki, l’idolo di Akari, è in questo sistema fin da bambino, quando interpretava Peter Pan. Ma forse lui vuole crescere, anche se questo getterà i fan nella disperazione. Usami Rim ci fa vedere quante ombre ci siano sotto ogni riflettore.
3. La forza di una storia essenziale
“Il mio idolo in fiamme” è un libro breve, scorrevole, empatico, con un finale molto convincente. Racconta il mondo interiore di una ragazza senza dare un giudizio ma mettendoci di fronte a una solitudine, a uno spezzarsi, che spesso ci rifiutiamo di vedere. Quando l’autrice descrive una giornata di lavoro di Akari in un izakaya (i pub giapponesi), comprendiamo come possano essere trasparenti le vite dei giovani su cui sfoghiamo la nostra stanchezza, indifferenti alla loro. Il libro di Usami Rim rompe questa indifferenza, e non è un merito da poco.