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di Simone Farello e Valentina Bocchino
La serie Netflix “Wednesday”, con protagonista Mercoledì Addams, sta riscuotendo uno strabordante successo di pubblico. Nulla di strano, visti gli ingredienti della ricetta: un personaggio di per sé iconico, interpretato da una bravissima Jenna Ortega, un cast d’eccezione, due showrunner del calibro di Alfred Gough e Miles Millar e la produzione di Tim Burton.
Ma mentre la serie spopola, molta critica storce il naso e tanti spettatori sono delusi o insoddisfatti, alcuni addirittura indignati: anche in questo caso nulla di strano. E nulla di sbagliato: ognuno ha la propria opinione e la esprime e, del resto, una delle cose belle dei libri, dei film e delle serie è proprio parlarne e discuterne. Quello che è interessante è che alcune delle cose che vengono rimproverate a “Wednesday” dai suoi detrattori indicano qualcosa di più strutturale rispetto al gusto personale. Sono critiche che indicano atteggiamenti a cui spesso la cultura popolare – pop – si deve sottoporre quando maneggia miti che dal mercato di massa sono entrati nella sfera di affezione di un pubblico più sgamato. Sono soprattutto tre.
1Se piace a tutti, deve esserci qualcosa che non va. Soprattutto se prima piaceva solo a me e a pochi altri. Questo è il destino di molta cultura popolare. Succede quando un personaggio, un regista, uno scrittore, un gruppo musicale (o un genere musicale) diventano oggetto di culto di cerchie ristrette di affezionati che creano intorno al loro mito un linguaggio, dei segni di appartenenza, una comunità che si distingue da chi non capisce la bellezza e la grandezza di quella cosa che solo gli adepti capiscono. Poi, quando improvvisamente la massa capisce, i fan della prima ora invece che gioire si sentono traditi. Nel caso di “Wednesday” credo che il maggior responsabile di questo fenomeno sia Tim Burton. Il regista di culto questa volta è stato meno dark, meno diverso, meno disturbante. Insomma: si è svenduto alle esigenze produttive di Netflix – cedendo a qualche compromesso – e diventando troppo commerciale. Ma, forse, un grande regista che fa una cosa per un pubblico più vasto, una cosa più leggera mantenendo uno standard di qualità elevato, è una cosa che andrebbe salutata con favore.
2Cosa ci fa Wednesday a Hogwarts? Parrebbe che “Wednesday” assomigli troppo ad Harry Potter. Per l’ambientazione e per le dinamiche delle relazioni tra i personaggi e della trama. Beh: sì, è proprio così, e allora? La cultura popolare ama due cose: i generi e la ripetizione. Tim Burton e gli sceneggiatori della serie hanno da questo punto di vista fatto un ottimo lavoro: usando più generi – il teen drama/young adult, il mistery, il gotico – e spargendo citazioni ovunque, come quella di Carrie lo sguardo di satana per l’episodio che pone fine alla festa annuale della Nevermore Academy.
Del resto, se Mercoledì doveva interagire con altri ragazzi altrettanto “strambi”, come farglielo fare se non a scuola? E la ragazzina dark immersa in un contesto “normale”, che spiazza tutti con le sue macabre battute e fa strillare i coetanei, l’abbiamo già visto nei vecchi film e ci è bastato rivederla nella prima scena dei piranha nella piscina dei bulli. Certo, se ci fosse stato proposto un crossover – Hermione Granger che va a fare visita a Mercoledì – tutto sarebbe stato più cool, ma in attesa dell’ennesimo reboot o spinoff di Harry Potter, l’uso della citazione permette di parlare a un pubblico che condivide un immaginario e che per certe ripetizioni si appassionerà e si commuoverà.In più un’ultima cosa: la famiglia Addams, nei numerosi telefilm, film e cartoni che l’hanno vista protagonista, è sempre stato un prodotto per famiglie e ragazzini, mai per soli adulti. Noi però nel frattempo siamo cresciuti, non potevamo pretendere che Wednesday continuasse a rivolgersi agli ex ragazzini che siamo diventati o a noi da adulti. Ha scelto, com’era nella sua natura, di rivolgersi ai ragazzi, sì, a quelli di oggi.
3La trama è banale e prevedibile. I personaggi non sono abbastanza approfonditi. Anche in questo caso: sì. E anche in questo caso: e allora? I caratteri della letteratura popolare sono da sempre tagliati con l’accetta, sino a quando qualcuno non decide di rivisitarli in chiave seria, dandogli complessità, allargando il pubblico di quei personaggi ma sottoponendoli alla contesa di cui stiamo parlando.
Ma soprattutto, quello che mi sembra si sottovaluti è che in un prodotto cinematografico l’aspetto visuale è altrettanto importante di quello della scrittura. E in questo senso “Wednesday” ha punte di vera estasi. La ferita di Mano è suspence e commozione; l’atelier di Xavier è Burton doc e, darà fastidio che sia virale, ma il ballo di Mercoledì è pura gioia, puro piacere della visione.
Bisogna davvero per forza specificare ogni volta che “sì, però Kubrick è un’altra cosa”? A volte non è male allentare l’attenzione e godere, semplicemente, di quello che si vede o legge. A volte c’è proprio da implorare “no, il dibattito no!”