“Accabadora” di Michela Murgia, quando un romanzo breve vale più di tanti discorsi

SUL LIBRO

Quante cose ha ancora da insegnarci questo libro pubblicato nel 2009: un gioiellino di 150 pagine che non pretende di lasciarci risposte granitiche ma che ci regala domande preziose

Tempo di lettura: 2 minuti

Ho finalmente letto “Accabadora” di Michela Murgia, pubblicato nel 2009 per Einaudi, uno di quei romanzi che era da anni che mi proponevo di leggere senza mai trovare il momento giusto. Un po’ perché volevo dedicargli la giusta attenzione (ha vinto il Premio Campiello 2010 ed è diventato celebre a livello internazionale), un po’ perché parlando di un tema così delicato come l’eutanasia volevo essere – come si dice – nel “mood” giusto.

A proposito, sapevate che le prime pagine di “Accabadora” sono nate in treno e che la Murgia aveva raccontato una “bugia” (a fin di bene) alla editor che l’ha scoperta, Dalia Oggero di Einaudi? Ho avuto la bellissima opportunità di intervistare Oggero e ho raccontato i fatti su Today.it a questo link.

La trama in breve

È difficile parlare della trama senza spoilerare, ma per farla breve il libro parla della piccola Maria che vive in un arretrato paesino della Sardegna degli anni ’50 e viene adottata da Bonaria Urrai, ricca e anziana sarta stimata da tutti. Beh, non proprio adottata, in pratica diventa “filla de anima” come si dice in paese: lei proviene da una famiglia numerosa e povera che fatica a mantenere tutti i figli, mentre Bonaria che non ha marito né bambini (ma ne vorrebbe) può crescerla senza problemi. Dunque stringe un accordo con la famiglia di Maria e la prende con sé.

Ma c’è qualcosa di strano: Bonaria a volte si assenta di notte e il giorno dopo qualche famiglia è in lutto. Finché un amico di Maria, una volta ragazzi, trova Bonaria in casa sua e scopre il suo segreto, un “segreto di Pulcinella” che però ai giovanissimi non viene rivelato: Bonaria è l'”accabadora” del paese, colei che aiuta a morire chi non è più in condizioni di poter vivere dignitosamente. Maria viene travolta dalla rivelazione inaspettata che metterà in forte dubbio le sue convinzioni e la spingerà a ribellarsi a Bonaria. Ma le strade della vita, si sa, non seguono sempre il tracciato che crediamo di aver pianificato.

E dunque ecco tre buoni motivi per leggerlo. Lo so, è un libro che ormai ha i suoi anni: ma se non l’avete ancora letto, fatelo.

1. Un tema così terribilmente attuale

Il tema dell’eutanasia è ancora terribilmente attuale e irrisolto in Italia: il libro è del 2009 ma le questioni che mette a fuoco sono sempre le stesse. Con una storia ambientata in un paesino della Sardegna degli anni ’50 arretrato, sospeso tra mito e realtà, tra la figura quasi leggendaria dell'”accabadora”, la notte degli spiriti e antichissime tradizioni di origini ancora pagane, Murgia è riuscita a farci riflettere sulla tematica del fine vita. Un tema con cui probabilmente ognuno di noi, indirettamente, ha avuto a che fare. A mio avviso è triste vedere che nel 2024 in Italia non siano ancora stati fatti sostanziali passi avanti.

2. Un libro che mette in luce tutte le sfumature di una scelta

Dopo averlo letto posso affermare che “Accabadora” non è, come dicono alcuni, un libro di mera propaganda pro eutanasia. Perché non giudica ma mette in luce tutte le sfumature, anche le più controverse, di quella che forse è la scelta più difficile per una persona e per i suoi cari. La vicenda che fa “esplodere” il caso è legata alla morte di un giovane uomo – fratello dell’amico di Maria – che non è propriamente in punto di morte, ma che sa di non voler vivere nello stato in cui lo ha ridotto un grave incidente. In questi casi che si fa? Il libro non prende parte, tanto che la reazione di Maria è di rabbia e sdegno.  Semplicemente, racconta una storia molto complessa fornendo al lettore più domande che risposte. Ma lasciandogli anche una gran voglia di parlarne, senza preconcetti, per tentare di trovare una sintesi. Credo sia proprio questo il compito degli intellettuali.

3. Un’ambientazione fuori dal tempo

“Accabadora” è un romanzo che si legge molto in fretta, è breve e in appena 150 pagine lascia molte riflessioni. Una cosa che mi ha colpita parecchio è l’ambientazione: come ho scritto prima, Murgia ha scelto un paesino della Sardegna degli anni ’50 arretrato rispetto al resto del Paese. In parte mi ha ricordato “L’amica geniale” di Elena Ferrante, un altro grande romanzo con la capacità di trasportare il lettore in mondi ormai lontani, diversi, a volte fuori dal tempo. Per ritrovare la complessità dei rapporti umani e capire che il “bene” e il “male” possono avere milioni di sfumature.

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