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Vi avevo già parlato della collana “Stile libero manga” di Einaudi con “Zeroventi” di Matteo Bussola ed Emilio Pilliu che esplorava, nel tipico stile del fumetto giapponese, l’incontro di una giovane coppia a Venezia.
Adesso andiamo a vedere invece, sempre per la stessa collana, qualcosa di diverso e se vogliamo più impegnato: “Tenui bagliori” di Yamada Murasaki è stato portato in Italia da Einaudi, con la traduzione di Alessandro Passerella, nel 2024, ma si tratta di un’opera risalente agli anni Ottanta. E la sua forza sta nel descrivere, con la semplicità del manga, la condizione della donna giapponese in una società estremamente patriarcale. Ecco tre riflessioni.
1. La donna giapponese chiusa in un cerchio di patriarcato e solitudine
La storia in 340 pagine circa (ma è un fumetto, dunque si legge molto velocemente) parla di Chiharu, casalinga, moglie e mamma di due bambine. La definisco così perché, nella società in cui vive, sono queste le parole che la definiscono. Prima della sua personalità, dei suoi desideri, delle sue ambizioni. Le due figlie stanno diventando grandi, il lavoro di accudimento sta per finire, il suo matrimonio si è spento da un pezzo e Chiharu dal marito è trattata come poco più di una serva: deve compiacerlo, badare alla casa e alle necessità di lui, rispondere alle aspettative, non fare domande. Anche perché, nel disinteresse generale, non riceverà risposte.
Coerentemente con la struttura della società giapponese, la donna fa parte della “comunità famiglia” che è quella a cui appartiene e che la identifica. Qualsiasi deviazione, qualsiasi slancio verso l’individualità (inteso come desideri e necessità della singola persona) fa fatica a emergere in una comunità che si basa interamente sulla collettività. Chiharu e svariate altre donne che lei conosce come la vicina di casa sono molto sole, tanto che una di queste un giorno le chiede se anche lei a volte va a fare la spesa solo per parlare con qualcuno.
Simone ed io ne abbiamo parlato anche nel nostro libro “Giappone in tutti i sensi“: è una società diversa dalla nostra, con pro e contro.
2. Tutti i cambiamenti passano per una ribellione
La storia – che si snoda attraverso un insieme di capitoli/episodi autoconclusivi – contiene anche un elemento di “ribellione”: Chiharu, a un certo punto, si rimette in gioco e trova un lavoro part time. E quando viene licenziata trova un’altra opportunità.
Sembra una carpa giapponese, di quelle che nuotano contro corrente con ostinazione e resilienza, fino a trovare una piccola grande felicità, un principio di indipendenza che verrà riconosciuto poi anche dal marito. Una scintilla, un piccolo cambiamento che farà scattare in Chiharu un pensiero: lei è sempre stata libera, deve solo avere il coraggio di mettere in atto il cambiamento. D’altronde è da qui che si parte per cambiare le cose, no?
E, a proposito, il libro stesso è stato considerata un’opera spartiacque nella storia dei manga: pubblicato sulla prestigiosa rivista “Garo” negli anni ’80 riscosse un enorme successo, sintomo del fatto che il tema interessava molto ed era destinato a creare dibattito.
3. Ma com’è la situazione della donna oggi in Giappone?
Certo, la storia si svolge negli anni ’80, dunque sono passati circa 40 anni. Ma a me è sembrato di leggere una storia che, in Italia, poteva essere ambientata nel dopoguerra o negli anni ’50-’60.
Questo perché in parte le trasformazioni sociali in Giappone sono più lente. Si fa fatica ancora oggi a cambiare, come ho scritto prima, in una società che mette i bisogni dell’individuo dopo (molto dopo) quelli della comunità. Comunità che è scandita da quello che uno fa: la scuola, il lavoro. E la famiglia, per tutte coloro che ancora oggi fanno fatica a sradicare il concetto che una donna dopo il matrimonio debba abbandonare il lavoro per dedicarsi esclusivamente alla famiglia.
Tanto in Giappone – dove c’è ancora molto da fare per la situazione delle donne – quanto in Italia.